Tre poliziotti morti e tre feriti, uno in condizioni preoccupanti; questo il bilancio della sparatoria aperta a Baton Rouge, in Louisiana, la città dove, il 5 luglio scorso era stato ucciso dalla polizia l’afroamericano disarmato Alton Sterling.

Oltre agli agenti è morto anche il killer, Gavin Eugene Long, ex marine afroamericano di 29 anni proveniente da Kansas City, Missouri. Long aveva combattuto in Iraq per un anno ed aveva lasciato il corpo dei marines nel 2010, con un congedo d’onore e il grado di sergente.

Molto attivo in rete, sotto lo pseudonimo di Cosmo Setepenra, Long aveva espresso rabbia per l’uccisione di Alton Sterling ed aveva dichiarato, su il suo canale YouTube, che «a Dallas è stata fatta giustizia» sostenendo la necessità di combattere contro le violenze della polizia sugli afroamericani: «Le proteste pacifiche hanno fallito – aveva detto – se dovesse succedermi qualcosa non consideratemi affiliato a nulla. Solo allo spirito di giustizia».
«I poliziotti hanno risposto a una chiamata al 911 e, arrivati sul posto, sono rimasti vittima di un’imboscata» ha spiegato Kip Holden, il sindaco di Baton Rouge.

«Non c’è giustificazione per la violenza contro le forze dell’ordine – ha commentato il presidente americano Barack Obama – per la seconda volta in due settimane agenti che mettono la loro vita a rischio per noi ogni giorno facendo il loro lavoro, vengono uccisi in attacchi codardi a cui va posta fine. Gli attacchi contro la polizia sono un attacco contro tutti noi, niente giustifica questa violenza senza senso. Cerchiamo di concentrarci su parole e azioni che possano unire questo Paese».

La sparatoria di Baton Rouge arriva dopo quella avvenuta a Dallas, l’8 luglio, quando un cecchino, Micah Johnson, ha aperto il fuoco su di una manifestazione di Black Lives Matter, uccidendo cinque agenti di polizia.
Anche in quel caso si è trattato di un uomo solo, non di un gruppo e di un ex militare; il venticinquenne Johnson aveva militato nell’esercito americano tra il 2009 e il 2015, e in particolare tra il 2013 e il 2014 era stato per alcuni mesi in Afghanistan.

I due episodi sono molto simili, entrambi vedono un ex militare afro americano, preparato, e si configura il quadro del veterano che tornato in patria si sente tradito dal proprio Paese, per cui ha rischiato la vita e dove continua a rischiare la vita per via del colore della propria pelle.
Un afro americano che torna dalla guerra è un afro americano e basta, con tutti i problemi sociali ed economici che i movimenti per i diritti civili stanno continuando ad evidenziare: disparita`di ogni tipo, quartieri degradati, difficoltà maggiori di mobilità sociale e la violenza costante della polizia.
Ad entrare nell’esercito sono spesso persone che non hanno molte altre risorse all’interno della società americana e che scelgono di farlo per ragioni economiche, nel migliore dei casi per permettersi il college.

Proprio per questa ragione molti sono afro americani. Una volta lasciato l’esercito c’è poi l’annoso problema degli ex militari abbandonati a loro stessi, al proprio post traumatic stress disorder (il disturbo post-traumatico da stress), senza lavoro o con un lavoro sotto pagato e socialmente isolati.

Con i tre agenti morti in Louisiana sale a 31 il bilancio dei poliziotti uccisi dall’inizio dell’anno negli Stati Uniti. La sparatoria è avvenuta il giorno del secondo anniversario della morte di Eric Garner, anche lui afro americano e disarmato, strangolato dalla polizia di New York nonostante stesse ripetutamente dicendo di non riuscire respirare mentre il poliziotto stringeva il braccio contro il suo collo.

Il problema razziale, che è economico e sociale, negli Stati Uniti è esasperato, e da qualsiasi parte lo si guardi, di difficile risoluzione.

Proprio pochi giorni prima essere ucciso a Baton Rouge, il poliziotto afro americano Montrell Jackson, aveva scritto sul proprio profilo Facebook: «Sono emotivamente stanco, amo questa città ma non so se questa città ama me (…) Quando chi ti conosce inizia a dubitare della tua integrità capisci che non ti conoscono per niente. Guardate le mie azioni, dovrebbero parlare forte e chiaro dicendo chi sono, invece in divisa attiro occhiate d’odio, senza divisa vengo considerato un pericolo (…) Per favore non lasciate che il vostro cuore sia infettato dall’odio. Questa città può e deve essere meglio di così». Come Jackson, molti sono i poliziotti afro americani che sperimentano quotidianamente il doppio ruolo, con e senza divisa, ed è proprio da questa porzione di forze dell’ordine statunitensi che si spera possa arrivare una chiave di soluzione.

«Basta violenza» ha commentato l’attivista di Black Lives Matter, Deray, dopo aver saputo dei fatti di Baton Rouge e poco dopo essere stato rilasciato per aver manifestato scendendo dal marciapiede.