Dall’inchiesta che ha coinvolto l’ex sottosegretario Armando Siri, messo alla porta dal governo solo dopo lunghe settimane di forti tensioni tra il ministro Matteo Salvini e l’alleato M5s, emerge uno spaccato di corruzione, abusi di potere, mazzette, trame e intrecci con burocrati e politici che dalla Sicilia arrivano a Roma. Ma soprattutto aleggia l’ombra della mafia e in particolare del superlatitante Matteo Messina Denaro. L’uomo chiave del sistema svelato dalla Procura di Palermo e dalla Dia di Trapani è Francesco Paolo Arata, ex parlamentare di Forza Italia e già consulente della Lega per la parte del contratto di governo definito con gli alleati cinquestelle che riguarda il tema dell’energia. Proprio il business al centro della maxi inchiesta che cammina tra Palermo e Roma.

DUE MESI DOPO AVERE ricevuto l’avviso di garanzi, Paolo Arata ieri è finito in carcere con l’accusa di «intestazione fittizia, corruzione e autoriciclaggio». Per la Dia, l’ex consulente della Lega non era solo uno spregiudicato faccendiere ma il sodale di Vito Nicastri, il «re dell’eolico» in Sicilia, ritenuto uno dei più grandi finanziatori della latitanza del boss Messina Denaro, e già ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa. Legami di cui Arata parlava senza farsi troppi problemi, definendosi «socio di Vito…» come captato dagli investigatori in alcune intercettazioni. Con Paolo Arata sono finiti in carcere anche il figlio Francesco, Vito Nicastri e il figlio Manlio. Per il gip dall’inchiesta viene fuori un sistema di contiguità tra Arata e il Carroccio, anche se il leader Salvini minimizza: «Ha partecipato solo a un convegno». Ma per gli inquirenti «Arata ha portato in dote alle iniziative imprenditoriali con Nicastri gli attuali influenti contatti con esponenti del partito della Lega, effettivamente riscontrati e spesso da lui sbandierati», contatti ereditati dall’avere «fatto tesoro della sua precedente militanza politica in Forza Italia per trovare canali privilegiati di interlocuzione con esponenti politici regionali siciliani». Rapporti di cui Arata parlava apertamente dicendosi «sponsorizzato» dal presidente dell’Assemblea siciliana e commissario di Fi nell’isola, Gianfranco Miccichè, che non risulta indagato.

NON SOLO: LA PROCURA CITA alcuni dialoghi registrati il 23 dicembre 2017, durante i quali «Nicastri – scrivono i magistrati – sollecitava Arata a far intervenire il senatore Armando Siri in relazione ad un sostegno nei confronti di una persona dagli stessi sponsorizzata». E il duo Arata-Nicastri voleva piazzare un proprio uomo nella lista della Lega in Sicilia, in vista delle elezioni nazionali. L’indagine, che proverebbe i rapporti d’affari tra Arata e Nicastri, nasce da accertamenti su un altro imprenditore, già finito in manette ad aprile, e ricostruisce una serie di passaggi societari per occultare l’ingombrante presenza del «re dell’eolico», per cui recentemente i pm hanno chiesto una condanna a 12 anni di carcere.

LE INTERCETTAZIONI HANNO confermato i sospetti degli inquirenti. «Io sono socio di Nicastri al 50%», si sente in una delle conversazioni di Arata che porta gli inquirenti a ricostruire i complessi rapporti tra il faccendiere e l’imprenditore. Etnea srl, Solcara srl sono solo alcune delle società comuni, tutte operanti nel settore delle energie rinnovabili, settore, sottolinea il gip, che molto interessa a Cosa nostra. E scavando i magistrati sono arrivati anche un giro di mazzette: una coinvolge Siri, che avrebbe intascato 30mila euro in cambio della presentazione di un emendamento al Def, mai approvato però, che avrebbe dovuto garantire finanziamenti alle imprese dei due soci.

QUESTA TRANCHE DELL’INCHIESTA è stata trasmessa ai pm romani per competenza. Sempre ascoltando Arata i magistrati hanno svelato una tangentopoli tutta siciliana, consumatasi tra gli uffici regionali e comunali. Tra gli indagati ci sono l’ex dirigente dell’assessorato all’energia Alberto Tinnirello, finito ai domiciliari per corruzione, il presidente e il dirigente regionale della Commissione valutazione impatto ambientale (Via) Alberto Fonte e Salvatore Pampalone accusati di abuso d’ufficio; reato contestato anche a Vincenzo Palizzolo, capo di gabinetto dell’assessorato regionale al Territorio, Toto Cordaro. Dal faldone delle intercettazioni emerge uno scenario inquietante.

«Io sono socio di Nicastri al 50 cento – diceva Paolo Arata a un amico avvocato – nella sostanza abbiamo un accordo societario, di co-partecipazione». In un’altra intercettazione, con il figlio di Nicastri, raccontava: «Nel 2015, ho dato 300 mila euro a tuo papà». E, intanto, si vantava pure di aver sborsato diverse mazzette. «Questi qua sono stati tutti pagati», diceva con orgoglio al figlio Francesco mentre stava per entrare negli uffici dell’assessorato regionale all’Energia, a Palermo. «Quanto gli abbiamo dato a Tinnarello?», sussurrava a proposito del dirigente che si occupava delle autorizzazioni per i parchi eolici. «Quello è un corrotto», diceva di un altro funzionario, Giacomo Causarano. «Un amico, una persona a noi vicina».

A SCORRERE LE ULTIME intercettazioni dell’inchiesta, emerge tutto l’orgoglio del tangentista che riesce a sbloccare quelli che lui chiama ostacoli, e invece sono le regole. Poi ci sono i rapporti con la politica. «Dalle attività di indagine – ricostruisce la procura – è emerso che Arata ha trovato interlocutori all’interno dell’assessorato all’Energia, tra tutti l’assessore Pierobon, grazie all’intervento di Gianfranco Miccichè, a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri». Arata incontra anche Calogero Mannino. Gli serve per arrivare ai vertici dell’assessorato al Territorio. Scrivono ancora il procuratore aggiunto Guido e il sostituto De Leo: «Quando l’epicentro della fase amministrativa diveniva l’assessorato al Territorio e Ambiente (per la verifica di assoggettabilità del progetto alla “Via”, valutazione di impatto ambientale), Arata è riuscito a interloquire direttamente con l’assessore Toto Cordaro e, tramite questi, con gli uffici amministrativi dell’assessorato, dopo aver chiesto un’intercessione per tale fine a Calogero Mannino». «Sì l’ho visto due volte – ammette Cordaro – ma gli ho sempre detto di no». E dalle carte saltano fuori pure contatti tra Arata e un altro assessore regionale, Mimmo Turano dell’Udc, con delega alle attività produttive.