Lo schianto dell’Airbus 321 della compagnia russa Metrojet nel Sinai ha assunto le proporzioni dell’intrigo internazionale con riflessi nella politica interna egiziana. Se lo Stato islamico davvero è stato capace di raggirare la sicurezza dell’aeroporto turistico di Sharm, tra i più frequentati del Medio oriente, e piazzare una valigetta a bordo del volo russo vuol dire che le autorità egiziane controllano davvero ben poco del territorio nazionale. Non solo, Isis avrebbe assunto le connotazioni di uno stato che riesce, almeno in parte della Siria, dell’Iraq e nel Sinai, addirittura a controllare il traffico aereo.

Questo spiega perché gli egiziani ci tengano tanto a non accreditare l’ipotesi dell’attentato in nessuna forma. Tuttavia, pur negando questa pista, le autorità egiziane hanno rimosso il responsabile della sicurezza dell’aeroporto di Sharm, Abdel-Wahab Ali. I contraccolpi sulla già claudicante impresa turistica egiziana ci sono già. Le principali compagnie aeree internazionali (Germania, Olanda, Belgio, Ucraina, Francia, Irlanda e Gran Bretagna) hanno cancellato i loro voli per Sharm. Lo stesso ha fatto Easyjet dallo scalo di Milano causando non pochi problemi per i passeggeri di ritorno dall’Egitto.

Questa volta ad avvalorare la tesi dell’attentato ci hanno pensato anche gli inglesi. «Non possiamo essere certi che si sia trattato di un attentato terroristico, ma sembra sempre più probabile che sia così», ha ammesso il premier Cameron. Gli esperti britannici, su richiesta di Londra, avevano esaminato la sicurezza degli aeroporti egiziani dieci mesi fa e l’avevano giudicata «sufficiente», ha ribattuto il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi nella sua prima visita in Gran Bretagna dal golpe del 2013. Sisi e Cameron hanno promesso che lavoreranno insieme per garantire in futuro la sicurezza dell’aeroporto. Evidentemente la questione ha acuito l’imbarazzo nella visita ufficiale di al-Sisi a Londra, già oggetto di diffuse contestazioni da parte degli egiziani che vivono in Gran Bretagna, molti di loro costretti a lasciare il Cairo per ragioni politiche.

Anche secondo la Cia, qualcuno nell’aeroporto di Sharm potrebbe aver aiutato a piazzare la bomba sul volo russo. Su questo, Putin e Cameron hanno discusso al telefono. Le autorità russe hanno definito «scioccante» la possibilità che Londra sia al corrente di particolari sulle cause del disastro aereo e non le renda pubbliche. Ma a rincarare la dose sono arrivate le parole del presidente della commissione Esteri del Senato russo, Konstantin Kosaciov, che ha fatto riferimento a una sorta di azione intimidatoria di Washington e Londra.

Secondo il politico, Usa e Gran Bretagna punterebbero sulla pista della bomba a bordo dell’Airbus come forma di «resistenza» all’impegno russo in Siria. In altre parole, avvalorare la tesi dell’attentato dimostrerebbe che anche Mosca, come altri paesi della coalizione anti-Isis, è vulnerabile alle vendette dei jihadisti. In realtà l’inchiesta sull’aereo russo precipitato nel Sinai richiederà mesi di tempo, come confermato dal capo dell’ente aeronautico russo (Rosaviatsia). Aleksandr Neradko ha aggiunto che una delle due scatole nere dell’Airbus è «danneggiata» ma sarà possibile decodificarla. Secondo Mosca, non ci sono prove sufficienti per accreditare la tesi dell’attentato e le notizie diffuse fin qui sono solo «speculazioni».

A essere certa della pista della bomba, che avrebbe ucciso i 224 passeggeri, è invece la compagnia russa Metrojet che ha sempre negato ogni ipotesi di cedimento strutturale del velivolo.