«Mi fa piacere che lei si interessi a una cosa del genere in un campo particolare come quello dei videogiochi, di cui non so nulla» mi dice Adriano Aprà. Gli telefonai alla fine di settembre 2023 perché mi aiutasse a chiarire un dubbio: le persone, come me, che parlano di videogiochi e scrivono di videogiochi, anche sul manifesto, stanno usando gli strumenti sbagliati per farlo? Due cose mi avevano fatto sorgere il sospetto. Conversazione su Dante del poeta acmeista russo Osip Mandel’štam (Adelphi, 2021) mi aveva convinto che ci volesse la poesia per parlare di poesia. E i critofilm, i film di critica cinematografica discussi e studiati da Aprà, mi avevano convinto che ci volesse il cinema per parlare di cinema. Ci vuole allora il videogioco per parlare di videogioco? «Il termine critofilm è stato introdotto da un critico d’arte, Carlo Ludovico Ragghianti», ricorda Aprà. «Lui realizzò una ventina di critofilm sull’arte, devo dire di fattura relativamente tradizionale: immagini con una voce fuori campo esplicativa». Per Ragghianti il film, con la sua dimensione temporale e il suo movimento nello spazio, creava una simulazione persino scientificamente accurata dell’atto del guardare l’opera d’arte.

Con il critofilm di Aprà, invece, il cinema diventa critica dello stesso medium cinematografico: si cerca vera omogeneità tra oggetto di studio e strumento. «I critofilm che ho realizzato li considero i migliori saggi che ho scritto, molto meglio di quello che ho potuto scrivere con la penna» afferma Aprà. «Il critofilm è una cosa che mi gira nella testa da un sacco di anni: il primo esperimento l’ho fatto addirittura nel 1978». Il critofilm però esisteva già. Aprà cita per esempio la serie francese Cinéastes de notre temps (1964) di Janine Bazin e André S. Labarthe e Il cinema di Pasolini (Appunti per un critofilm) di Maurizio Ponzi (1967). E oggi nelle sue varie declinazioni è un genere tanto ubiquo da essere dato quasi per scontato. Si è diffuso prima attraverso i contenuti extra dei DVD (la forma più promozionale di critofilm, anch’essa affrontata più volte da Aprà) e poi attraverso le piattaforme di condivisione video come YouTube, piene di quei videosaggi raccontati da Chiara Grizzaffi ne I film attraverso i film. Dal «testo introvabile» ai video essay (Mimesis, 2017). Ma quando Aprà parlava di critofilm pensava a qualcosa di più elaborato. «Le opere di critica letteraria sono trattate alla stessa stregua di un’opera di prosa o di poesia. Nel cinema si tende a fare un lavoro di tipo giornalistico, ma a me sta a cuore che ne venga fuori un’opera vera e propria con una sua autonomia, una sua bellezza indipendente dal fatto che parli di qualcos’altro. L’esempio massimo sono le Histoire(s) du cinéma di Jean-Luc Godard, che è sia un critofilm sia un’opera d’arte».

La scena videoludica sembra però ancora più indietro. Esistono videosaggi sui videogiochi, videogiochi documentaristici e saggi in forma di videogioco. Ma dov’è il critogioco che parli di videogiochi?
Digital Eclipse è uno studio statunitense che sviluppa videogiochi e che negli anni si è specializzato in raccolte di vecchie opere. È un’operazione di preservazione, di restauro: Digital Eclipse le rende giocabili sugli hardware attuali nel modo più fedele possibile alle versioni originali e le accompagna con tutti i materiali extra disponibili (colonne sonore, illustrazioni…). Ma nel 2022 uscì una sua collaborazione con la compagnia che oggi possiede lo storico marchio Atari, a cui si deve Pong (1972) e la nascita del videogioco come oggetto di consumo. Il risultato fu Atari 50, una celebrazione del cinquantennale di Atari con un centinaio di giochi funzionanti e contestualizzati all’interno della storia della compagnia grazie a testi, manuali, fotografie, documenti e interviste organizzati in una serie di percorsi. Un museo interattivo. Digital Eclipse, che da fine 2023 è proprietà proprio di Atari, ha continuato questo percorso con quella che chiama Gold Master Series, opere che mescolano raccolta di videogiochi restaurati e documentario interattivo per raccontare la storia del medium.

«Penso che in effetti qui noi stiamo facendo una cosa analoga» mi dice, riferendosi al critofilm, il critico e direttore editoriale di Digital Eclipse Chris Kohler durante una videochiamata. All’epoca della mia conversazione con Kohler era in uscita la prima raccolta della Gold Master Series, The Making of Karateka, che sarebbe poi stata seguita nel 2024 da Llamasoft: The Jeff Minter Story. «Le persone hanno capito che bisognava discutere del cinema attraverso il medium cinematografico, perché per esempio così puoi mostrare i brani dei film di cui parli. E così vale per i videogiochi. Ho scritto libri su videogiochi, ho partecipato a documentari su videogiochi, ma quello che manca è la componente interattiva». L’intera esperienza dei musei interattivi di Digital Eclipse è pensata come un videogioco ed è progettata per essere navigabile con lo stesso gamepad da console che poi posso usare per giocare alle opere incluse. «Anche se una persona procede linearmente leggendo ogni testo e giocando a ogni gioco in ordine, è importante che quando ha il controller in mano senta di poter fare scelte» spiega Kohler.

Questi documentari interattivi rendono anche più facile compiere ulteriori studi sulle opere trattate. Se devo rileggere un passo di un libro basta che lo apra alla pagina giusta, ma se devo rigiocare un passo di un videogioco o ho la fortuna di avere un salvataggio fatto al momento giusto o mi accontento di guardare un video o devo sennò rigiocare il gioco intero. In The Making of Karateka ho a disposizione versioni giocabili e commentate di Karateka di Jordan Mechner (1984) e di altri suoi giochi dell’epoca, ma posso anche guardare il videogioco eseguire una registrazione della partita, posso muovermi liberamente tra i suoi capitoli, iniziare a giocare dal momento che voglio prendendo il controllo della registrazione, riavvolgere il tempo…. «È un altro motivo per cui raccontare la storia del videogioco attraverso gli strumenti del videogioco non è solo una moda: è indispensabile» continua Kohler. Potremmo persino arrivare ad avere antologie, raccolte di singoli brani di videogiochi contestualizzati e messi a confronto. «Una cosa del genere sarebbe un sogno per noi» dice Kohler. «Tecnicamente è possibile, ma la questione è legale».

Siamo insomma già sulla strada che porta al critogioco, ma il suo futuro dipende anche da se e come riusciremo a riformare i concetti di diritto d’autore, copyright e proprietà intellettuale in modo coerente con l’attuale cultura digitale e rendendo quindi possibili simili rielaborazioni e remix. «Altre forme al di là di quella cinematografica sono possibili» Aprà dice alla fine della nostra telefonata. «Il mio dilemma è che ho un’età, ho 83 anni, non ho più la forza, la capacità, di fare come saprebbe fare una persona giovane, ma lo vedo come uno sviluppo formidabile»