Ha interpretato Mago Merlino in uno dei suoi film, un tipo di stregoneria che certo utilizza nella creazione dei suoi sortilegi, nome di punta dell’avanguardia spagnola degli anni Sessanta. Il suo nome sono tanti nomi diversi, li ha cambiati nel corso degli anni e dei film: Adolfo, Udolfo, Adorfo, Ado, Arrieta, Arrietta. È tornato quest’anno a far parlare di sé dopo un intervallo di più di dieci anni con La Belle Dormant, una bella addormentata che infine si risveglia. Uscito dalla Spagna franchista per andare a vivere a Parigi, è stato influenzato da Luis Buñuel come da Jean Cocteau, segnato dalla visione di Le sang d’un poète, dall’amicizia con Jean Marais, dalla scoperta che si potesse fare cinema anche senza soldi. Con una camera 16mm girò proprio a casa di Cocteau attirando l’attenzione dei Cahiers du Cinéma.

Al festival di Pesaro di quest’anno l’evento è stato l’incontro con questo artista defilato («mi piace essere poco conosciuto» dice in puro stile sessantottino) che ha portato il suo film sul tempo, l’elasticità del tempo, Einstein coniugato con Perrault. Un principe ereditario del tempo delle favole suona la batteria e si lancia in volo aull’aereo verso il regno della bella addormentata per risvegliarla. Tanto grande è il regno da possedere una zona oscura, una impenetrabile giungla dove si narra di una principessa addormentata da un sortilegio, così come è rimasta immobilizzata tutta la corte. Né i reali fanno una piega nel vedere il velivolo, convivono con le stregonerie e le magie da sempre. Il mondo in cui è ambientato non è l’oscuro Medio Evo popolato di elfi e sortilegi, ma un più prossimo duemila dove il giovane Egon principe di Litonia sente di dover compiere una missione.

Mentre subiamo il fascino dell’invenzione scenografica, ci accorgiamo di quanto questo film sia dirompente da un punto di vista politico. Intorno a noi infatti una grande quantità di corti reali continuano a esistere ferme nel loro sonno secolare, nei loro immutabili protocolli, pur benevole verso le novità tecnologiche.
Ado Arrieta che visse in esilio in Francia dai tempi del franchismo, uscito dalla Spagna monarchica e fascista, racconta di un paese monarchico e democratico come in Europa tanti paesi rappresentano ancora frammenti di storia congelata.

Risulta evidente dal film la realtà fissata nel tempo attraverso rituali e protocolli delle tante monarchie europee a cominciare da quella spagnola. È proprio questo che voleva mettere in scena?
Non è qualcosa a cui pensavo mentre facevo il film. Inoltre c’è una parte non cosciente nei miei lavori. Io non ci avevo pensato. Alla fine il padre del principe si addormenta e quella è una stregoneria. E il padre non crede alle streghe. È la punizione per il padre autoritario, tanto che da allora viene soprannominato «Luigi il Sonnambulo».

Tutti si addormentano e saltano il XX secolo. Ci sono ragioni che hanno guidato questa scelta?
L’epoca in cui Perrault ha scritto La Bella Addormentata era ambientata nel periodo in cui scriveva. Ho pensato che dal ’600 al ’700 non c’erano stati tanti cambiamenti né scoperte tecnologiche, ma che tra il ’900 e il duemila ci sono stati mutamenti incredibili, così ho trovato più divertente farla addormentare nel ’900. Tutta la corte è abituata alle fate che sono più potenti delle tecnologie, infatti non si stupiscono più di tanto. L’unica cosa che li impressiona e il rumore dell’aereo, per il resto restano impassibili.

Prima del cinema è venuta la pittura come passione e alla pittura si è dedicato negli anni recenti in cui non ha realizzato film…
Il cinema è come la pittura, faccio i film come i quadri, prima faccio delle macchie poi il disegno. Montare è la stessa cosa: prima filmo e poi monto.

Quali sono i film che ha amato di più?
I film che mi hanno fatto venire voglia di fare film sono Le sang d’un poète, Potemkin e Vampyr. Anche Bunuel. Una volta mi è venuta voglia di fare la copia esatta di Un chien andalou. Poi come l’idea è venuta così se n’è andata.

Sorprende l’incipit con il principe che suona la batteria
È stata una sorpresa anche per me. Volevo soltanto che Niels Schneider facesse del rumore per sfogarsi, non sapevo che sapesse suonare, ho scoperto che era molto bravo e la storia ha preso un’altra dimensione. per quanto riguarda gli altri attori del film: alcuni sono amici, altri professionisti, non c’è differenza, anche tra i professionisti ce ne sono che non sanno recitare. Ingrid Caven che interpreta la strega è l’unica che conoscevo. Io non ho dato indicazioni psicologiche, dicevo solo come dovevano entrare e come dovevano uscire, li vedevo come ballerini in scena. Solo Amalric mi ha chiesto: sono mortale o immortale? «Immortale» gli ho detto e lui si è completamente identificato ed è scomparso davvero, c’è stato un incantesimo.

Uno dei misteri della sua opera (a parte il gusto di cambiare il nome) è rimaneggiare i film in continuazione…
Con l’era analogica non lo si poteva fare, ci volevano tre mesi per girare e quattro per montare, ma con il digitale ci si possono rimettere le mani. Un film è finito quando lo si dimentica, come se fosse sempre in movimento, non è qualcosa di fisso. Non si possono mettere limiti alla creazione artistica. «Togliendo si migliora la qualità» lo diceva anche Coco Chanel. Grenouilles ci ho messo 30 anni per montarlo, La Belle dormant 6 mesi. Ho montato in maniera diversa nel corso della mia carriera: Jouet Criminel è stato girato e montato (ed esiste anche la versione lunga), In Flammes ho seguito la sceneggiatura, in Belle Dormant ho messo in ordine le scene. Dopo Merlin non trovavo soldi, al festival di Lucca ho incontrato Enrico Ghezzi e Donatello Fumarola, la Rai mi ha comprato i film e Fuori Orario ha trasmesso Vacanza permanente e Narciso.

La prima volta che lei è stato a Pesaro era il 1968, aveva 26 anni…
C’era anche Marguerite Duras con Détruire dit-elle, io con Jouet Criminel, lei ha molto amato il mio film, siamo diventati molto amici. In quei giorni l’Adriatico era mosso, lei nuotava molto bene, vedevo la sua testa che entrava e usciva dalle onde. A Parigi vivevamo nello stesso quartiere, mi ha prestato la sua casa per girare. Lei ha scritto sulla versione lunga del film. Trovo che il suo articolo fosse molto più bello di quella versione lunga che era così deprimente.