«Se il ministro Toninelli dovesse ordinare alla Guardia costiera di non rispondere più agli Sos dei migranti io sarei d’accordo» dice Matteo Salvini, che non contento bolla anche come «retoriche» le denunce di chi, come l’Onu, in passato ha condannato le torture subiite dai migranti nei centri di detenzione in Libia. «Ho chiesto di visitarne uno in costruzione, è all’avanguardia e può ospitare mille persone», racconta soddisfatto.

Sembrano proprio non avere fine né limiti le esternazioni del ministro degli Interni della Lega, deciso a conquistare tutti i giorni le prime pagine dei giornali. Ieri Salvini si è recato in Libia facendosi precedere dall’annuncio di voler allestire hotspot ai confini meridionali del Paese, centri nei quali selezionare e suddividere i migranti tra economici e richiedenti asilo. Un progetto al quale aveva pensato anche l’ex ministro Minniti che per questo aveva avviato trattative con le tribù del Fezzan e del quale il suo successore sembra parlare come se fosse ormai cosa fatta.

Salvini è il primo esponente del governo gialloverde a recarsi nel Paese nordafricano, ma dimostra di non aver bene presente come funzionano le cose a Tripoli. La Libia non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati e considera l’immigrazione, di qualunque tipo sia, un reato. Improponibile, quindi, aprire hotspot sul suo territorio. Ci pensa il vicepremier Ahmed Maitig a mettere i puntini sulle i: «Rifiutiamo categoricamente la presenza di qualsiasi campo per i migranti in Libia. Questo non è accettato dalle leggi libiche», dice in una conferenza stampa convocata nella capitale libica proprio con il ministro italiano. Che una volta tornato a Roma cambia progetto e sposta gli hotspot un po’ più a sud, in «Niger, Mali, Ciad e Sudan», Paesi con i quali starebbe pensando anche a una missione comune che però, almeno per quanto è dato sapere, non sarebbe ancora stata discussa con i diretti interessati. L’unico intervento in cantiere nel’area, quello in Niger avviato dal precedente governo Gentiloni e che sarebbe dovuto partire a giungo è ancora fermo in attesa di una richiesta di intervento ufficiale da parte del governo nigerino.

La cosa non sembra però interessare Salvini, che sposta l’asticella delle guerra contro i migranti sempre più in alto. Creando non poco imbarazzo all’interno della maggioranza quando dichiara che non avrebbe niente in contrario se la Marina non rispondesse più alle richieste di aiuto in arrivo dai barconi che tentano di attraversare il Mediterraneo. Parole dure, che si scontrano con il primo dovere che prevede di intervenire in soccorso di chi si trova in difficoltà, ma soprattutto che macchiano l’operato di un corpo che, come aveva ricordato in mattinata proprio il ministro Toninelli, «ha messo in sicurezza circa 600 mila persone solo negli ultimi quattro anni». Lo stesso corpo al quale – allargando il discorso al lavoro svolto da tutti i mezzi, sia militari che civili, impegnati nel Mediterraneo – il ministro della Difesa Elisabetta Trenta vorrebbe venisse assegnato il Nobel per la Pace. L’imbarazzo nel governo per le parole di Salvini è tale che a sera tocca all’altro vicepremier, Luigi Di Maio, intervenire provando in quale modo a rimediare alle affermazioni del leghista: «La nostra Guardia Costiera deve salvare chi sta affogando, ma una cosa è il salvataggio e altra cosa è il traghettamento di persone dalle coste africane a quelle europee», spiega in televisione il capo politico dei grillini.

Dopo il mini vertice di domenica e in vista del Consiglio europeo di giovedì. l’Unione europea cerca intanto di trovare una linea comune che la salvi dalla disfatta. Assodata l’impossibilità di trovare un accordo buono per tutti sulla riforma di Dublino, a questione è stata rimandata alla prossima presidenza di turno austriaca, scelta che significa archiviare definitivamente la questione. L’ultima bozza di quello che potrebbe essere il documento finale del vertice non aggiunge niente di nuovo a quanto già non si sappia, con la riproposizione di piattaforme regionali fuori dall’Unione e gestite da Unhcr e Oim dove convogliare i futuri sbarchi dei migranti e dove esaminare le richieste di asilo. L’unica novità importante riguarda il via libera al finanziamento di 6 miliardi di euro per interventi in Africa e di altri tre miliardi alla Turchia come previsto dall’accordo del 2016 sui migranti.