Il Libano è in fiamme da mesi. L’esplosione del 4 agosto si concretizzerà come il propellente per una rivolta sociale ancora più incontrollabile?

Le immagini impressionanti della deflagrazione a Beirut hanno dato una impressione plastica di quella che senza dubbio è una catastrofe orribile : non solo per i morti ed i feriti, ma per i problemi che si prefigurano nella distruzione di buona parte della città, lasciando centinaia di migliaia di persone senza casa e saturando rapidamente le strutture sanitarie. In un paese in cui, nel generale disinteresse, da mesi bolliva un fremito di ribellione che il Libano non vedeva da molti anni per via di problemi economici e sociali. Dal 17 ottobre 2019 una fiumana di manifestanti ha iniziato a mobilitarsi insistentemente per cacciare tutti i partiti ed il governo in carica.

Il contesto successivo al periodo di guerra civile, un quindicennio (1975-90) da cui è emerso un paese rigidamente definito dalle segmentazione etnico-confessionale (sunniti, sciiti, drusi, cristiani…) sul piano politico, vede una economia orientata alla priorità di servizi, banche e turismo e immobiliare, con settori agricolo e manifatturiero estremamente deboli. Se il PIL da una crescita di oltre il 10% di dieci anni fa è crollato vicino allo zero, il paese deve importare massicciamente dall’estero : il saldo fra esportazioni e import non solo è negativo da molti anni, ma supera il 25% del Pil, mentre il deficit del bilancio statale (saldo entrate e uscite) si attesta su dieci punti.

Una situazione catastrofica; c’è da stupirsi della impennata della disoccupazione balzata oltre il 40% ? Il Libano si piazza al 4° posto nella graduatoria mondiale delle peggiori forniture di elettricità, collocazione plasticamente confermata da reportage che testimoniano ore ed ore di black-out giornaliero, spengendo i semafori e lasciando gli ospedali a secco, obbligando a ritardare interventi operatori se non a chiudere interi settori delle strutture. Negli ultimi anni l’arrivo dei profughi siriani (ben sopra il milione in un paese di soli 6 mln!) hanno messo a durissima prova la tenuta del paese.

L’oligarchia libanese al potere ha deciso di imprimere una svolta sostanziale con la dollarizzazione della valuta, congelata in cambi fissi in misura molto superiore ad altri paesi che declinano in maniera meno rigorosa la parità del cambio. L’aggancio ad una valuta forte è il biglietto da visita dell’inserimento dell’economia nazionale nel contesto finanziario globale, favorendo i capitali esteri che possono lucrare sui tassi di interesse senza timori di svalutazioni e ben accolta dai capitali domestici (per poter prendere a prestito a tassi che non incorporino il rischio-cambio).

Ciò se da un lato ha danneggiato i settori produttivi del paese portandolo al mostruoso deficit commerciale già menzionato, ha permesso uno sviluppo abnorme dei servizi bancari : 142 istituti, secondo la Commissione governativa, con attività finanziarie pari a quattro volte il Pil dell’intero paese.
Per nutrire tale livello di effervescenza la Banca Centrale non solo ha lottato con le unghie e coi denti per tenere il cambio fisso della lira libanese col dollaro (stabilita nel 1997) ma ha garantito altissimi livelli di remunerazione del capitale grazie… ai nuovi depositi. Diversi analisi parlano di uno schema Ponzi favorito dall’attuale governatore dell’istituto.

Maggiori profitti, più incertezza e instabilità : questa ferrea regolarità dell’economia finanziarizzata trova una ulteriore conferma ; con la guerra in Siria e una minor dinamica della finanza internazionale il sistema ha iniziato a vacillare, sboccando in un debito pubblico alto (152% sul pil, ma altre stime sono più alte di anche venti punti!) e nell’annuncio per bocca del Primo Ministro il 9 marzo che il Libano non riuscirà a pagare la obbligazione in scadenza di 1,2 mld di dollari. Come finirà ?