Quando Adrián Bravi era bambino, la sua famiglia visse per qualche anno in un sobborgo di Buenos Aires chiamato San Fernando, in una casa che fu poi abbandonata per i continui straripamenti del fiume Lujàn. All’epoca di quel lontano trasloco, Adrián aveva quattro anni e non poteva certo sapere che molto tempo dopo, nel 1988, avrebbe incontrato in una piccola città delle Marche una sua «vicina di casa», cresciuta a San Fernando e come lui rientrata a Recanati, luogo da cui le famiglie di entrambi erano emigrate in Argentina.
Bravi – oggi bibliotecario all’Università di Macerata e, grazie a nove romanzi scritti nella sua lingua d’adozione, scrittore noto ed apprezzato – aveva allora venticinque anni, era sfuggito per un soffio alla coscrizione che lo avrebbe mandato a combattere nelle Malvine e studiava filosofia all’Università di Macerata. La sua «vicina», invece, aveva ormai superato i sessant’anni ed era un’artista dalla vita tragica e romanzesca: Adelaida Gigli, nata a Recanati nel 1927 e figlia della bonaerense Maria Teresa Valeiras e di Lorenzo (noto pittore approdato giovanissimo in Argentina), che nel 1931 erano tornati a Buenos Aires dopo qualche anno trascorso in Italia, fuggendo dal fascismo per incappare in una nuova dittatura, imposta pochi mesi prima da un colpo di stato.

DA QUEL PRIMO INCONTRO nacque un’amicizia destinata a durare fino alla morte di Adelaida e anche oltre, perché Adrián, attingendo a una lunga frequentazione, a lettere e taccuini, a testimonianze e a dattiloscritti pieni di correzioni e cancellature, è oggi autore della prima biografia di una donna eccezionale (Adelaida, pp. 144, euro 17), appena pubblicata dalle edizioni Nutrimenti. In copertina, il primo piano di un volto femminile morbido e serio, quello di un’Adelaida giovane e bellissima; tra collo e spalla, l’immagine in bianco e nero rivela le dita possessive del suo compagno di allora, David Viñas, che insieme a lei e ad altri intellettuali aveva creato nel 1953 la leggendaria rivista Contorno, in cui letteratura, politica e società argentine venivano sottoposte a una critica minuziosa, in aperto contrasto con l’approccio cosmopolita ed elitario del gruppo raccolto intorno all’ ancor più celebre Sur, fondata negli anni ’30 da Victoria Ocampo.
Altre foto, riunite nell’interno della copertina, offrono una rapida panoramica della vita di Adelaida: la vediamo nell’infanzia, con i genitori, con Viñas (suo marito per pochi anni, e non ancora «mostro sacro» della cultura nazionale), anziana e ormai esule in Italia, dopo un viaggio rocambolesco verso Rio de Janeiro e la successiva partenza per Genova, nel 1977. In un angolo, una piccola immagine confusa ci mostra i suoi figli bambini, Maria Adelaida e Lorenzo Ismael, militanti montoneros che, lei a ventidue anni e lui a venticinque, vennero sequestrati, torturati e fatti sparire dall’ultima dittatura militare, la più feroce tra le tante che l’Argentina ha conosciuto.

Adelaida Gigli

FU PROPRIO LA SCOMPARSA irreparabile dei figli, ancor più del concreto pericolo di venire a sua volta arrestata, che indusse Adelaida a fuggire («… non volevo essere un’altra vittima dopo che i miei figli erano scomparsi, desaparecidos. Non aveva più senso vivere là, e poi non si poteva»), lasciandosi dietro amici molto amati, una vita intensa e movimentata, un intreccio eterogeneo di passioni politiche, una casa dove i guerriglieri nascondevano le armi e che ospitava feste memorabili, pronte a trasformarsi in vere e proprie performances.

ECCENTRICA, RIBELLE, provocatoria, estranea alle convenzioni borghesi, pronta a lanciare «frasi come bombe», straordinariamente libera in un ambiente fin troppo fedele a mitologie virili, per molto tempo Adelaida fu nota come «la donna di Contorno», l’unica in una redazione di uomini e tra le pochissime firme femminili apparse sulla rivista. Un’etichetta che la accompagna ancora oggi, ma che in qualche modo la sminuisce, sovrapponendosi a una personalità complessa e ai suoi molti talenti, quali un’instancabile e originale attività di ceramista, la critica letteraria – tra i pochi e mordaci articoli scritti per Contorno resta memorabile quello in cui analizza la figura di Victoria Ocampo –, la poesia e la scrittura quasi segreta di una brillante narrativa breve, raccolta in parte nell’antologia Paralelas y solitarias pubblicata nel 2006, quando Adelaida viveva in Italia da trent’anni e da cinque l’alzheimer l’aveva privata della memoria e della parola.
A Recanati (dove sarebbe morta nel 2010), era arrivata con una valigia come unico bagaglio e chiedendosi cosa ci facesse in una cittadina «dove non succedeva mai niente», lei che era sempre vissuta in una metropoli e che non parlava l’italiano. Si era subito arresa, però, alla pace un po’ immobile di un luogo in cui non si respirava la paura e non bisognava «stare sempre all’erta», dove poteva riprendere a modellare le sue sculture e, soprattutto, riusciva custodire «con grande amore le sue assenze», scrive Adrián Bravi, imparando a poco a poco la solitudine («Ho imparato a vivere sola, tanto che adesso mi sembra l’unica maniera di vivere»).
Creare nuove opere affondando le mani nella creta, scrivere, convivere con le proprie ferite e custodire i propri morti, come ha sottolineato il suo amico León Rozitchner, «al di là di qualsiasi riparazione, giustizia statale e memoria edificante»: così Adelaida è riuscita a non lasciarsi spezzare e a testimoniare un’ultima rivolta, silenziosa ma tenace. Straniera ovunque (argentina in Italia, italiana in Argentina), costretta per due volte da fascismi diversi a cambiare continente, era arrivata a definirsi «prima di tutto una donna», al di là di qualsiasi identità nazionale.
In una nota finale l’autore confessa a sé stesso e a chi legge di aver scritto una biografia «piena di buchi», ma le lacune, se davvero ci sono, appaiono irrilevanti in un testo così ricco e sfaccettato, in cui si materializzano luoghi e suoni diversi (le vie, le voci, il frastuono di Buenos Aires, le piazzette, gli scampanii e i silenzi di Recanati), e fili tesi con abilità collegano epoche e istanti, disegnando una miriade di storie e immagini, da quelle inevitabilmente strazianti di Maria Adelaida (che prima di essere sequestrata riuscì a salvare la sua bambina di pochi mesi affidandola a una coppia di sconosciuti turisti stranieri), di Lorenzo e dei loro compagni, fino alle apparizioni cupissime dei torturatori e alle audaci figure del Frente de Liberación Homosexual, che Adelaida appoggiava incondizionatamente, vedendo in esso «la vera rivoluzione».

NEL RACCONTARCI LA VITA di una donna fuori del comune Bravi ha saputo narrare, a chi non le conosce o le ha dimenticate, anche le vicende politiche e culturali di un paese intero, il suo oscillare tra tentativi di democrazia e violenza estrema secondo «un meccanismo di sostituzione dei governi eletti dal voto popolare attraverso l’intervento delle forze armate», e, al medesimo tempo, l’esistenza di un indomabile fermento intellettuale, di una costante elaborazione critica, di un tenace rifiuto della rassegnazione. E non è azzardato pensare ad «Adelaida» come a una sorta di biografia minima dell’Argentina, un breve ritratto del suo tragico Ventesimo secolo, che potrebbe e dovrebbe insegnare qualcosa ai molti cui, oggi, la memoria e l’immaginazione sembrano «merce scaduta».