Si fa presto a dire porno. Radley Metzger – morto a 88 anni a New York – ne ha diretti cinque e ha cambiato la storia di un genere che non è nemmeno (ancora…) considerato tale. Dotato di un fiuto cinematografico pari solo al suo talento, Metzger, che ha operato anche coperto dal nom de plume Henry Paris (e Jake Barnes) a partire dal 1965 e in particolare con il suo Alley Girls ha ridefinito le regole di come filmare e mostrare il corpo e il sesso al cinema. Rispetto a Gerard Damiano viaggiava leggero, Metzger. Niente angosce esistenziali e né tantomeno sensi di colpa. Anche se condividevano lo stesso flagrante senso del cinema.

Il cinema di Radley Metzger sta tutto nel piacere di un gesto filmico che utilizza le aperture concesse da quel momento storico irripetibile quando la controcultura contestataria statunitense incontra la crisi dello studio system hollywoodiano e le relative possibilità che ne derivavano. Così, fra scampoli di psichedelia e pop art, rock’n’roll e l’idea di un glamour da jet set floreale, scandito da irresistibili ritmi beat, e senza mai dimenticare l’amore profondo e competente nei confronti del cinema francese della nouvelle vague, Radley Metzger crea quella che è stata definita l’epoca d’oro del cinema pornografico. E, no: Metzger non credeva a quella sciocchezza del «porno con la trama» (che è come dire «il cinema con la sceneggiatura»). Metzger credeva nelle immagini. La vera, autentica sensualità, eccitazione del suo cinema sorge dal piacere assolutamente laico, materialista offerto dalla possibilità di combinare luci e corpi, suoni e movimenti di macchina.

Colori e gesti. Corpi e desideri. Come un Richard Lester dell’erotismo o un Vincente Minnelli del porno, Metzger ci ha offerto l’illusione che potesse esistere un cinema dell’occhio voluto dallo sguardo incapace di piegarsi a leggi esterne al suo movimento seduttivo. Già: perché il cinema di Metzger non è il cinema del plusvalore del desiderio, fatto per non essere mai consumato ma solo accumulato. Il suo è un cinema della seduzione. E, no: Metzger non barava. Il sesso nei suoi film c’era e si vedeva.

Basti pensare alla fellatio che Susan McBain pratica a Peter Andrews all’inizio di Barbara Broadcast o al pissing di CJ Laing nella scena ambientata in cucina del medesimo film. Hardcore frontale senza sconti eppure sfrontatamente altro. E che dire dell’intermezzo da cinema muto in Naked Came the Stranger? Senza contare che Metzger ha infranto tabù come la penetrazione anale maschile in contesti non gay (basti pensare a The Score o The Opening of Misty Beethoven nel quale appare anche, nel cinema, Mark Margolis noto ai più per Breaking Bad).

Ha giocato con il bondage e il fetish con The Image interpretato da Mary Mendum (vista anche ne La cuginetta inglese di Max Pecas) e Maraschino Cherry, con Gloria Leonard. Metzger, però, non è solo hard. Basti pensare Camille 2000 rilettura delle camelie di Dumas in chiave beat realizzata in Italia con le magnifiche musiche del maestro Piero Piccioni. E che dire di Esotika Erotika Psicotika (ossia The Lickerish Quartet?) se non che è sopravvissuto ai detrattori dell’epoca imponendosi come uno dei film più creativi di un’epoca cinematografica irripetibile. Lo stesso Metzger, consapevole del vicolo cieco commerciale (e quindi formale) nel quale il porno si trovava, passa la mano (al contrario di Damiano che continua invece a fare hard sino allo stremo del suo sguardo).

Radley Metzger forma, con Russ Meyer e Joe Sarno, la triangolazione perfetta del’rinnovamento dell’immaginario erotico americano: una specie di Chapman Report (inevitabilmente cukoriano) nei fatti che ha saputo evitare qualsiasi tentazione sociologica per affermare in maniera prepotente, gioiosa, insurrezionale il primato del piacere e dello sguardo. Il cinema di Radley Metzger è il principio di realtà che si trasforma e si offre come principio di piacere infinito.