Il suo film più noto, L.A. Confidential, era dedicato alla città in cui è cresciuto è all’era del cinema hollywoodiano che amava di più. Il suo ultimo lavoro, Too Big Too Fail, realizzato nel 2011 per HBO, gettava uno sguardo impietoso su Wall Street, immediatamente dopo il crack del 2008. Regista, sceneggiatore, produttore e grande conoscitore del cinema classico americano, per la cui preservation si è spesso dato da fare, Curtis Hanson è mancato martedì pomeriggio, nella sua casa sulle colline di Hollywood. Aveva settantun anni. Si tratterebbe di cause naturali – forse un attacco di cuore – secondo i portavoce della polizia e dei soccorsi medici che lo hanno trovato. Ma, ormai da qualche anno, si sapeva che era malato di Alzheimer.

Nato a Reno, in Nevada, e trapiantato poco dopo nella San Fernando Valley, dove suo padre era maestro di scuola e sua madre casalinga, Hanson apparteneva alla generazione di autori cinefili di cui fanno parte anche John Carpenter, Paul Schrader, Peter Bodganovich, John Landis e Joe Dante. Come Dante Bogdanovich e Schrader, infatti, Hanson prima ancora di mettersi a fare film, ha un passato di «critico», per la rivista Cinema, rilevata da suo zio (padrone di una catena di negozi di abbigliamento) e per cui, in qualità di direttore, ebbe occasione di intervistare i grandi mastri della Hollywood classica, come Ford, Hawks e Minnelli.

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Fu quello, il cinema di riferimento di tutta la sua carriera, iniziata però non nei confortevoli backlot degli studios ma – come tanti colleghi della sua età- presso la factory eccentrica di Roger Corman, per la cui scrisse, nel 1970, un adattamento del racconto di H.P. Lovecraft The Dunwich Horror, diretto da Daniel Hellar, con Peter Fonda e Dean Stockwell. Sempre per la cormaniana AIP, Hanson scrisse nel 1972, Sweet Kill, un thriller con Tab Hunter per la cui riedizione (con il titolo The Arousers) gli venne affidata anche la regia di alcune scene di sesso aggiuntive.

Tra le sceneggiature indimenticabili di Hanson spicca tra tutte quella di White Dog, scritta a quattro mani con uno dei suoi idoli, Samuel Fuller, che avrebbe poi diretto questo adattamento da un articolo di Romain Gary, pubblicato sula rivista LIFE, su un cane addestrato per attaccare afroamericani. La sua uscita in sala soppressa, nel 1981, dalla Paramount che lo aveva prodotto, White Dog è infine tornato visibile all’inizio degli anni novanta, e rimane tuttora uno dei manifesti antirazzisti più folgoranti ed efficaci mai portati al cinema negli Stati uniti.

Uno dei primi film di Curtis Hanson da regista, Losin’ It, una teen comedy ambientata negli anni sessanta, è anche uno dei primi film di Tom Cruise. Ma il suo segno autoriale inizia veramente a distinguersi solo nel 1987, con il thriller hitchcockiano The Bedroom Window e, nel 1990, con il noir Bad Influence, seguito nel 1992 da uno dei suoi film più famosi e riusciti, The Hand That Rocks the Cradle, con Rebecca De Mornay baby sitter assassina e poi da Wild River, con Meryl Streep in pericolo sulle rapide.

Il suo amore per il genere e quello per il cinema classico si cristallizzarono alla perfezione, nell’adattamento dell’intricatissimo romanzo di James Ellroy L.A. Confidential. Interpretato da Kim Basinger, Russell Crowe, Kevin Spacey e Guy Pearce, il film, cosceneggiato e diretto di Hanson è considerato uno dei grandi noir ambientato «città degli angeli».

«Ho sempre voluto raccontare una storia sullo sfondo della Los Los Angeles anni cinquanta, perché ci sono cresciuto ed è la città delle mie memorie d’infanzia. Volevo filmarla e, allo stesso tempo, trattare un tema che mi interessa – la differenza tra realtà e illusione, il modo in cui le persone appaiono rispetto a quello che sono veramente. E Hollywood è la città dell’illusione» ha detto, in un’intervista del 2001 Hanson, che è stato direttore onorario dell’Ucla Film Archive per circa dieci anni e che contava tra i suoi film preferiti un altro grandissimo noir losangelino, In a Lonely Place, di Nicolas Ray.

Dopo il grande successo critico e commerciale di L.A. Confidential, Hanson diresse l’adattamento dal romanzo di Michael Chabon, Wonder Boys, ed è del 2002 uno dei suoi film più atipici e più belli, 8 Mile, nato da una collaborazione con il rapper Eminem.