Ha regalato a Roma uno spazio mentale avanzato ma chi passa oggi per gli Orti d’Alibert lo vedrà chiuso, come la fine di un’epoca: Americo Sbardella è scomparso improvvisamente, e anche se da tempo non poteva occuparsi più del Filmstudio, poi riaperto e oggi non si sa più neanche quale sarà la sua destinazione, è il luogo ideale che resta nella storia culturale del paese, proprio come riuscì a costruirlo nei lontani anni Settanta con Annabella Miscuglio.
Da un viaggio negli Stati Uniti, dai contatti con il New American Cinema ebbero la prima idea di organizzare anche in Italia uno spazio dove mostrare il cinema indipendente che gli americani sapevano così bene promuovere.

Ci pensavamo in questi giorni scorrendo il programma di Pesaro, il festival che eredita quel lavoro culturale, dove spicca proprio il collegamento tra il New American Cinema e l’underground italiano. Sbardella riuscì con Annabella a creare in Italia la prima sala dove non solo arrivavano autori come Mekas, Warhol, Brakhage, ma anche tutti gli italiani che scoprivano la possibilità di esprimersi con il super8, il 16 mm scavalcando l’industria cinematografica e la censura, mostrando le avanguardie, producendo pura poesia, cinema militante, visioni per il futuro. Si chiamavano Alberto Grifi, Baruchello, Lombardi, Lajolo, la Karma Film di Paolo Brunatto, e poi Robert Kramer, Jean Marie Straub e Danièle Huillet, Vecchiali, fino a Nanni Moretti che con il suo primo super8 esordì nella sala.                                  

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Americo (abbiamo scoperto in seguito che si chiamava così, noi all’epoca o chiamavamo Amerigo) sembrava essere l’anima concreta del cineclub, quello che insieme ad Annabella cercava di trovare il modo di portare avanti economicamente quell’impresa impossibile di fare cinema con la pura cultura, scoprendo sempre nuovi filoni e soprattutto creare collegamenti nazionali e internazionali (Langlois era di casa, Godard venne qui a girare, la federazione dei cineclub diventò poi realtà con la direzione di Adriano Aprà alle origini del festival di Salsomaggiore).

Abbiamo poi scoperto, dopo la fine dell’era dei cineclub la sua ricerca spirituale che era presente anche allora, ma sovrastata dai mille problemi organizzativi, dalle discussioni teoriche e in seguito si è espressa in scritti, trasmissioni radiofoniche (Gilgamesh) e negli ultimi tentativi di mantenere in vita quelle sale dal gigantesco respiro.