Ho conosciuto Anna Basso, Mimi, figlia di Lelio, a 18 anni, quando mia madre voleva raddrizzarmi la colonna vertebrale, ondulata dalla scogliosi. Mimi e un’altra ragazza ventenne erano le mie fisioterapiste. Quest’altra ragazza (ahimè mi sfugge il suo nome, sebbene fossimo diventate amiche..), viveva con Giairo Daghini, militante della sinistra, in una delle tre comuni di Milano, frequentata da Enzo Paci, Umberto Eco, Nani Filippini, Fleur Jaeggi e altri intellettuali e militanti della sinistra extraparlamentare, che allora, per noi, era la Sinistra.

Per un anno quella casa, in via Sirtori 3, divenne il luogo dove passavo la sera. Finché alcuni di noi andarono a stare a Parigi.

Un giorno Mimi infilò nella tasca di suo padre, Lelio Basso, il mio numero di telefono mentre partiva per Parigi. Lelio mi chiamò e diventammo amici. Per alcuni anni, il giorno prima delle elezioni, mi telefonava per chiedermi per chi avrei votato, e io, informata del partito che in quel momento gli era più vicino, (erano tempi in cui «cambiare» voleva dire pensare di nuovo), lo votavo. Un anno dopo, anche Mimi venne a stare a Parigi. Mi spiegò che nella capitale francese avevano trovato una nuova terapia per l’Afasia, malattia terribile e pressoché sconosciuta, e lei voleva studiare questa cura per portarla in Italia.

Mimi era una persona molto pratica e molto retta. La sua rettitudine era insieme contingente e assoluta. Anche un po’ ironica, ferocemente laica. Non aveva nulla di sentimentale. Tutto di leale e profondamente generoso.

Qualche anno dopo è tornata in Italia con la cura dell’Afasia, di cui è diventata la massima esperta mondiale, e a cui si è dedicata corpo e anima (parola che non avrebbe voluto sentire, ma più «anima» della sua..), per tutta la vita, aiutando e riportando alla parola tantissime persone, fino a che, approfittando della sua andata in pensione, in Italia si è pensato bene di chiudere i centri di terapia, perché troppo costosi.

Il primo Centro di Cura dell’Afasia è stato aperto a Milano nel 1962. Poco dopo un altro si è aperto a Roma, al Santa Lucia.

Ha insegnato neuropsicologia all’Università di Milano, ha pubblicato Aphasia and Its Therapy (Oxford University Press, 2003) e Conoscere e rieducare l’afasia (Il Pensiero Scientifico, 2005).
Ha sposato Francesco Micheli, da cui ha avuto due figli, Carlo e Andrea, e insieme hanno adottato una figlia, Luisa. Suo marito Francesco Micheli ha comprato il terzo piano della casa di mia madre a Milano, il piano dove io ero nata e cresciuta. Da allora, quando andavo a trovare i miei, facevo su e giù. E quando divenni editore, pubblicai un bellissimo libro sull’Afasia, Senza parola, da lei curato e scritto insieme a un suo paziente, Andrea Moretti, «rigenerato» dalla sua pazienza e maestria.

Nel 2013, lasciando la Presidenza dell’Aita (Associazione Italiana Afasici, nata nel 1994), tenne un discorso al Santa Lucia, che definì «la mia casa», in cui diceva che in Italia i malati di Afasia sono più di 200.000. All’epoca credo che quello fosse l’ultimo posto in Italia che ancora la curava.

Salutandomi, due mesi fa, mi disse «Mi mancherai». Detto da lei, che non credeva nella trascendenza, è una parola che mi si conficca ogni giorno di più nel cuore. Come se ci fosse un luogo, non l’aldilà, in cui l’essere stato ha una sua permanenza. Come se lo stampo smagliante di cui era fatta potesse provare nostalgia.