Il primo ricordo che torna alla mente di Tristan Honsinger è dei tardi anni ’70 del secolo scorso in un giardinetto di Firenze, lui che improvvisava musiche candide e disordinatissime e raffinatissime con la sua solita faccia stralunata, come un qualsiasi dropout suonatore di strada. Ed era invariabilmente quel suo improvvisare per lame taglienti di suoni, nervose linee sempre irregolari, per strappi violenti alle corde del violoncello, il suo strumento. Anche attraverso episodi di semplicità estrema, come se fosse musica destinata ai bambini, simile ai disegni esili e spericolati dei bambini. Musicista radicale e intransigente eppure così vitale e così...