Il primo ricordo che torna alla mente di Tristan Honsinger è dei tardi anni ’70 del secolo scorso in un giardinetto di Firenze, lui che improvvisava musiche candide e disordinatissime e raffinatissime con la sua solita faccia stralunata, come un qualsiasi dropout suonatore di strada. Ed era invariabilmente quel suo improvvisare per lame taglienti di suoni, nervose linee sempre irregolari, per strappi violenti alle corde del violoncello, il suo strumento. Anche attraverso episodi di semplicità estrema, come se fosse musica destinata ai bambini, simile ai disegni esili e spericolati dei bambini.
Musicista radicale e intransigente eppure così vitale e così propenso a inserirsi nei collettivi di altri improvvisatori, non tanto meno radicali di lui ma forse un pochino più propensi a pause o a momenti di lirismo appena un po’ più accattivante. Honsinger «dissociato» (nel senso psicologico), Honsinger con la sua maschera tragica di uomo macilento, non abbiamo mai saputo se di uomo disperato.

LA SUA MUSICA rivive oggi come la più conseguente, la più immediatamente legata alla vita dirompente che si voleva fare nel tempo delle rivolte. Aspra, tagliente, stupendamente elaborata per raggiungere il suo scopo con una tecnica violoncellistica di primordine. Vitale e vivificante perché oggi più che mai si sente il bisogno di questa voglia di disegno ulteriore, altro, diverso, opposto al soffocante e squallido ordine delle cose.
Honsinger veniva da Amsterdam ma era americano, nato nel 1949 a Burlington nel Vermont. Ha trovato chissà perché lunghi momenti di accoglienza e di residenza artistica in Italia. O forse lo si sa il perché: era un paese che nei tardi ’70 manteneva in piedi qualche attività e sicuramente la memoria di un desiderio di sovversione durato a lungo, più a lungo che altrove. È morto il 5 agosto scorso a 74 anni. Si è riunito tante volte alla Icp Orchestra olandese di folli improvvisatori-compositori a lungo guidata dal pianista teatral-musicale-surreale che si chiamava Misha Mengelberg. Così come aveva partecipato volentieri ad alcuni dei convegni musicali della Company, convegni mondiali, Europa e America a suggerirsi invenzioni.

LO TROVIAMO nei n. 1, 5, 6, 7 della serie, registrazioni tra il 1976 e il 1977 per la etichetta Incus. Intrecciava qui le sue aguzze, rumoristiche e disadorne sequenze di suoni a quelle dei Maarten van Regteren Altena, Evan Parker, Derek Bailey, Leo Smith, Anthony Braxton, Lol Coxhill, Han Bennink, Steve Beresford, costruttori di alterità musicali destinate a rimanere nella storia. Negli anni ’70, ’80, ’90 e anche 2000 ha suonato al fianco di Cecil Taylor, il rivoluzionario per eccellenza. Si capivano, eccome se si capivano.