Morto a novant’anni un vero eroe della musica radicale che più radicale non si può. Si continua ad usare questo termine, radicale, nonostante la cattiva fama che sta avendo nello scenario geopolitico. Ma Phill Niblock era uno dei massimi rappresentanti di un modo di far musica (e di produrre incantamenti inauditi con la sua musica) in quella maniera che le convenzioni non hanno ancora del tutto accettato. Era un iper-minimalista? No, c’entrava poco con l’uso delle cellule ritmico-melodiche ripetute o gradualmente «sfasate» del vari Reich o Glass. Il suo mondo era un unico suono derivato dalle fonti più disparate – all’inizio suoni-rumori provenienti dall’esterno, poi suoni derivati da strumenti musicali tradizionali – che lui al computer riprendeva e metteva in circolo in accordo o conflitto (ma mai in vera e propria polifonia) con altri suoni presi o da strumentisti o da fonti sonore registrate.

RICORDIAMO una sua performance di un’intera serata al festival Angelica di Bologna del 2008. In quella occasione Niblock mise in mostra nella maniera più mirabile ed emozionante l’altro lato del suo lavoro artistico: quello di filmmaker. Così si videro immagini che scorrevano con ordinata frenesia di lavoratori di paesi del «terzo e quarto mondo», in genere pescatori, intenti a svolgere le loro funzioni. Il piano della continuità di queste immagini filmiche era più vario, più differenziato, rispetto al piano delle musiche che le fiancheggiavano, sempre costruite con la base del suono unico a cui si assommavano suoni di sax o di gironda o di chitarra o di voce o di flauto basso o di campionamenti vari. L’effetto era – al di là dell’ammirazione per la maestria del compositore e cineasta e dei suoi collaboratori – quello di una «magnifica ossessione», una delle esperienze di ascolto-visione più sconvolgenti e più avvincenti che si ricordino.
Anche alla Biennale Musica Niblock fu omaggiato nel 2012. Questa volta la situazione era meno insolita. Il Quartetto Prometeo, quell’anno premiato col Leone D’Argento, eseguì un lavoro diventato celebre del compositore americano: Five More String Quartets (1991-’93).

UNA FASCIA sonora che si presentava compatta, scorreva, «avveniva», e dentro c’erano varianti impercettibili ma tali da suscitare un trauma eccitato ed estasiato proprio per la loro minimissima distanza dalla massa sonora che intanto continuava a occupare lo spazio acustico. Niblock era nato a Anderson nell’Indiana nel 1933 ed era approdato a New York nel 1958. Famoso, proverbiale, ma illuminante è rimasto un suo racconto del viaggio in motocicletta nell’anno 1960 per inerpicarsi su una strada di montagna nella Carolina del Nord (o del Sud, raccontava, con la sua solita insofferenza per i dettagli della memoria). Viaggiava dietro un vecchio camion e gli strappi dei due motori, moto e camion, gli suonarono meravigliosamente «disarmonizzati» e anche «armonizzati», tali comunque da provocargli una reazione emotiva irrefrenabile. Così è nata per decenni la musica di Niblock, che si misurò in seguito con i più vari organici, compresa l’orchestra.
Ma il procedimento ultraradicale era sempre lo stesso, di compromessi Niblock non ha mai sentito parlare. Amava il jazz. Tra i suoi film più belli c’è The Magic Sun, realizzato vivendo per mesi assieme ai musicisti dell’Arkestra di Sun Ra.