Quello spirito intriso dalla passione per l’arte, lo stesso di cui si è nutrita fino agli ultimi istanti della sua vita, è il ricordo che porteremo, pensandola, oramai non più con noi. Era nata a Palermo ma viveva a Roma, Lea Mattarella – amica cara per chi scrive, storica dell’arte, docente, giornalista militante (prima per il quotidiano torinese La Stampa poi per il quotidiano la Repubblica) ci ha lasciati, improvvidi, in una buia notte di fine d’anno. Attraverso la sua verve caparbia e dolce combatteva l’estenuante e lunga malattia ripartendo la sua esistenza attraverso le sue passioni che l’animavano da sempre: l’arte, certo, l’adorata figlia Ottavia e le battaglie anche politiche e civili e che ne facevano una donna intensa e motivata. Sembrerà perfino retorica descriverla per ciò che Lea era, creatura appassionata che, con piglio e militanza, seguiva i processi artistici e li traduceva in un universo semantico collimante quel discorso totale che il ruolo di storico dell’arte quasi sempre impone.

LA DOCENZA di Storia dell’arte contemporanea nelle varie Accademie di Belle Arti dove aveva insegnato (Napoli, Macerata, L’Aquila fino a Roma dove era stata trasferita due anni fa), impegno nobile a cui ci si abbandona per impartire alle nuove generazioni il sapere, in questo caso si saldava con la responsabilità del tramandare la nostra storia dell’arte.
Con infaticabile attaccamento, concentrava le proprie energie, prodigandosi affinché le nuove generazioni potessero essere stimolate, solleticate; credeva infatti che l’arte e la cultura fossero potenti strumenti di cambiamento. Di tale forza di emancipazione, a volte fragile, avversa eppure unico viatico di trasformazione sociale, Lea Mattarela è stata sempre persuasa. Accanto a questo ruolo, al contempo delicato e robusto, si dedicava alla curatela di mostre e Premi d’arte contemporanea, convinta che l’infinito universo dell’arte debba essere sostenuto su più piattaforme, su più declinazioni, su più territori. Tra le tantissime esposizioni curate, sicuramente Le donne che hanno fatto l’Italia realizzata al Vittoriano di Roma, in occasione del 150esimo anno dell’Unità d’Italia l’aveva notoriamente appassionata. Una mostra in cui centrale emergeva la presenza, di carattere prettamente culturale e non solo, di donne illustri, speciali, che attraverso lo spessore dell’invenzione, fino al limite dell’utopia, avevano aperto varchi e luoghi di sperimentazione. Dalla scrittura alla scienza, passando per lo sport e tanti altri settori, le protagoniste di quell’appuntamento andavano dai segni indelebili lasciati da Luisa Spagnoli a Grazia Deledda, da Rita Levi Montalcini a Ernestina Paper – prima laureata in medicina dell’Italia unita – fino ad Alfonsina Strada, che nel 1926 corse con gli uomini il Giro d’Italia.

INSIEME alle molte attività, da segnalare anche la cura che Lea Mattarella aveva accordato all’edizione del Premio Fabbri del 2015.
Fino all’ultimo ha cercato nell’arte la sua terapia infinita, dedicandosi alla scrittura, soprattutto come giornalista, con una dedizione e una sollecitazione quasi febbrili. L’ultimo suo articolo risale appena a una settimana fa su «Robinson», il supplemento di Repubblica, sulla mostra  romana dedicata ai costumi e ai disegni realizzati da grandi artisti per il teatro dell’Opera.
I destini degli esseri umani sono imperscrutabili, folli e spesso crudeli. Ma sia pur nella sua breve e intensa esistenza, i significati che Lea ha tracciato si colgono tra le pieghe e in profondità. Nessuno ci risarcirà della sua perdita ma ognuna e ognuno di noi, per chi ha avuto il piacere di conoscerla, frequentarla, averla come amica o di aver letto semplicemente le sue parole nei suoi puntuali articoli sulle testate d’arte contemporanea, porterà con sé un po’ della sua straordinaria tempra.