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Un greatest hits di Jerry Lee Lewis

Addio a Jerry Lee Lewis, «il killer» del rock’n’roll

Miti. Si è spento a 87 anni il cantante di «Whole Lotta Shakin' Goin' On» e «Great Balls of Fire»
Alla fine è successo, non due giorni fa – come erroneamente riportato sul web – ma il 28 ottobre; Jerry Lee Lewis, tra i nomi di riferimento del rock’n’roll se ne è andato a 87 anni; dal vivo era travolgente, scostava con furia lo sgabello dal pianoforte e si metteva in piedi; e lì non lo fermava più nessuno; quando attaccava i suoi classici, pezzi come Whole Lotta Shakin’ Goin’ On Great Balls of Fire, il pubblico era letteralmente travolto da quello stile selvaggio, iper energico, da quel modo di torturare il piano che gli erano valsi il soprannome The Killer e che contribuiranno ad affermare il rock’n’roll come la musica dominante degli anni Cinquanta; tanta era la sua sfrontatezza che la scuola evangelica in cui studiava da ragazzino lo aveva espulso dopo aver sentito una versione boogie woogie scatenata e (considerata) irriverente del gospel My God Is Real.
Jerry Lee Lewis era nato nel 1935 in Louisiana, nel Sud degli Stati Uniti, da una famiglia di contadini poveri; durante il giorno andava in città a vendere le uova e ne approfittava per intrufolarsi nei locali in cui si suonava country, e in quelli frequentati da neri; per questo nella sua musica si sono mescolati tutti i generi che erano nell’aria a Natchez, città vicino a Ferriday dove era nato: blues, gospel nero e bianco, swing, il country classico di Hank Williams. Proprio questa enorme versatilità gli conferirà – come scrive Alessandro Portelli in un suo saggio sull’artista – un linguaggio, un’identità musicale e personale distinta e inconfondibile che lo renderà diverso da un qualsiasi imitatore e seguace di Elvis Presley.
Canzoni del 1957 come appunto Whole Lotta Shakin’ Goin’ On Great Balls of Fire voleranno in cima alle classifiche country e a quelle rhythm’n’blues catturando in un’unica sintesi – come nel caso di Elvis – tutto l’immaginario di massa americano, attraendo orizzontalmente bianchi e neri. E però l’identità country continuerà a permeare la sua carriera, quel sud povero da cui proveniva con tutte le sue orribili contraddizioni, tra cui «la furia sanguinaria dei linciaggi di massa, le frenesie populiste, persino l’incesto», come scriverà Greil Marcus nel suo saggio Mystery Train. Proprio quell’identità, sottolinea ancora Alessandro Portelli, sarà la causa della sua clamorosa rovina; succedeva il 12 dicembre 1957, con il matrimonio (il terzo di sette) con Myra Lewis Williams (Myra Brown da nubile), la cugina 13enne; Lewis era al culmine della fama e quando la notizia trapelò – mentre mesi dopo era in tour in Gran Bretagna – per lui si aprì il baratro; saltarono i concerti inglesi e anche negli Stati Uniti fu messo al bando.
Da lì in poi la fama e la popolarità cominciarono lentamente a svanire. Era la nemesi di una eredità contadina che lo stava colpendo proprio mentre era all’apice del successo e proprio mentre stava per disfarsi di quelle radici; per Lewis quel matrimonio era un fatto normale, stava dentro una tradizione meridionale in cui in una cultura abituata all’isolamento, chiusa su se stessa, sono frequenti matrimoni precoci e all’interno della parentela. Il fatto è che nonostante il rock’n’roll fosse figlio del Sud rurale, in realtà ora stava parlando ai figli del ceto medio urbano, ai teenager di tutta l’America, a tredicenni che compravano dischi di rock’n’roll e che si aspettavano che il loro mondo fosse, o sembrasse, diverso da quello della tredicenne cugina-moglie di Jerry Lee Lewis. Si aspettavano che si parlasse d’amore ma certo non di matrimonio, perché erano ancora figli e volevano restare tali; si eccitavano, certo, con i doppi sensi del rock’n’roll e Great Balls of Fire, grandi palle di fuoco, era pane per i loro denti ma a 13 anni finiva lì. Rimandavano all’infinito una maturità sessuale che non può e non deve certo avvenire a 13 anni.
Per quanto si sforzasse di addolcirsi e urbanizzarsi, Lewis, rispetto ad Elvis, non riuscirà, però, mai ad essere totalmente accettato, si sforzerà con temi e linguaggi accettabili, ma l’universo liceale gli andrà sempre stretto, e per lui questo sarà un guado insormontabile e finirà inevitabilmente sotto. Continuerà a suonare in maniera forsennata, sempre selvaggia, dirà che Elvis aveva finito per cantare come Bing Crosby, che il rock’n’roll aveva finito per stemperarsi nei tanti Bobby Vee o Bobby Rydell del tempo e che solo lui era rimasto a fare rock con la stessa rabbia e convinzione degli esordi; parlerà, comunque, sempre bene di Presley con cui nel 1956 – insieme a Johnny Cash e Carl Perkins – darà vita alle storiche registrazioni del super gruppo Million Dollar Quartet negli studi della Sun a Memphis.
Poi nel 1968, dopo anni di eclissi, avvierà una seconda carriera, come cantante country. Di lui restano, come detto, concerti travolgenti in cui suonava il piano – quando non ci saliva sopra – con i pugni, i gomiti, i piedi e la schiena, concerti teatrali e incendiari, letteralmente. Come quando, in tour con Chuck Berry, non volendo che l’artista suonasse dopo di lui, finì il concerto e appiccò il fuoco al pianoforte con cui si era esibito fino a qualche istante prima, dicendo: «Adesso vediamo cosa sai fare, ragazzo». Suonare per primo era come fare da supporto all’artista che sarebbe seguito e questo non gli andava giù. Gravato dall’uso costante di medicinali e sopravvissuto a una serie di operazioni dovute a ulcere perforanti, nel 1986 sarà uno dei primi dieci artisti ammessi alla Rock’n’Roll Hall of Fame, insieme a Presley, Chuck Berry e altri. Lewis ha avuto sei figli (due scomparsi molto giovani) e inciso 40 album, l’ultimo dei quali, Rock and Roll Time, pubblicato nel 2014; nel 2010 era uscito Mean Old Man in cui duettava con Mick Jagger, Sheryl Crow, Willie Nelson e Eric Clapton. La sua storia è raccontata in Great Balls of Fire!, il film dell’89 con Dennis Quaid e Winona Ryder, tratto da Great Balls of Fire: The Uncensored Story of Jerry Lee Lewis (1982), il libro della ex moglie Myra Lewis Williams.