Questa volta «il lupo marsicano» non ce l’ha fatta. Franco Marini ha ceduto al Covid. A inizio gennaio era stato ricoverato all’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti. Dimesso 27 gennaio, il virus però aveva lasciato il segno e qualche giorno fa era stato nuovamente ricoverato per le complicanze a Roma nella clinica Villa Mafalda dove è morto ieri all’età di 87 anni.
Due le fasi della sua vita pubblica, comune a molti ai tempi della prima Repubblica. Sindacalista poi politico. Sempre con la pipa ad accompagnarlo.
Il momento più alto della sua carriera, cominciata nella Dccon l’elezione a deputato nel ’92 prendendo più voti di Sbardella, è stato sicuramente la candidatura a presidente della Repubblica nel 2013 quando il suo nome sancì l’accordo Berlusconi-Bersani ma fu abbattuto nel segreto dell’urna dopo i 531 voti presi al primo scrutinio, seguito alla bocciatura pubblica di quel Renzi che ieri sui social lo salutava con un «Ciao Franco», retwittando la notizia data da Pierluigi Castagnetti, senza postare foto. La presidenza del Senato nel 2006 in un’elezione contro Andretotti passata alla storia per lo stratagemma («Franco Marini», «Marini Franco») di verificare il rispetto dei patti dei vari gruppi parlamentari è stato il punto più alto della carriera istituzionale che lo ha visto anche incaricato di un mandato esplorativo nel 2008 alla caduta di Prodi.
Ma è da sindacalista che Marini si è formato e ha mostrato le qualità – tenacia, capacità negoziale e di mediazione – poi usate da politico – «nelle trattative sulle candidature prendeva tutti per stanchezza» – da tutti riconosciute. La Cisl è stata la sua casa, portato dal fondatore Giulio Pastore che lo conobbe giovane funzionario alla Cassa del Mezzogiorno. La lunga trafila nel sindacato è quasi tutta nella funzione pubblica senza dimenticare gli inizi: «Se da ragazzo mentre ero in motoretta nel Fucino mi avessero detto che avrei fatto un partito coi comunisti…», ricordava divertito ai tempi della fondazione del Pd.
Primo dei sette figli, Franco Marini nacque a San Pio Delle Camere, paesino in provincia dell’Aquila. La morte della madre porta presto al trasferimento a Rieti, dove suo padre Loreto è operaio alla Viscosa, ma la calata rimase sempre abruzzese, anche dopo l’esperienza da alpino.
La pelle se la fa subito nello scontro interno alla Cisl fra Storti e la sinistra dc. È Pastore a riportarlo in sella dopo una prima esclusione dalla segreteria confederale. Poi con Pierre Carniti inizia a prendere spazio e controllo dell’organizzazione: fu lui a ricostruire la Cisl sul territorio. Nonostante le diversità caratteriali con Carniti c’è un passaggio di testimone figlio di un comune sentire «di sinistra». Seppur democristiano fino al midollo – corrente Donat Cattin – Marini da sindacalista ebbe molti scontri con i notabili del partito. Come nel 1989 quando spinse per lo sciopero generale a maggio contro il decreto sui ticket sanitari del governo De Mita che contribuì a far cadere nonostante l’accordo di qualche mese prima sul fiscal drag.
Dalla Cgil i messaggi di cordoglio sono sentiti: dopo la spaccatura sindacale del referendum sulla scala mobile del 1984, fu lui il protagonista della ricostruzione dell’unità.
Schietto, sempre pronto al dialogo – così lo ricordano persone politicamente lontanissime da lui come Giorgio Cremaschi e il conterraneo Maurizio Acerbo – la caratteristica di Marini era che alla fine si faceva quasi sempre come diceva lui. Senza però che nessuno si arrabbiasse. Almeno sul momento.