Jacques Demy l’aveva definita «uno stradivari» per la precisione e il virtuosismo con cui si donava ai suoi personaggi riuscendo sempre a mantenere il segreto su di sé. Lei diceva: «Amo i registi che sanno capirmi, capaci di intuizione … Se sono uno strumento bisogna sapermi suonare». Danielle Darrieux aveva cent’anni – era nata durante la Grande guerra, nel 1917, a Bordeaux – quasi l’età del cinema di cui ha incarnato, luminosamente, le diverse epoche: i classici degli anni Trenta e la NouvelleVague, il cinema hollywoodiano e le generazioni d’oltralpe più giovani come quella di Ozon o di Marjane Satrapi.

In Francia era un’icona, una di quelle che attraversano il tempo da quando nel ’36 risplende in Mayerling di Anatole Litvak. E poi eccola con Billy Wilder (Amore che redime,’34) e Robert Siodmak (La crisi è finita, ’34) quando entrambi sono esiliati in Francia. Per il primo marito, il regista Henri Decoin, interpreta due commedie, Battement de coeur (’39) e Premier rendez-vous (’40), tocco screwball alla francese. È inventiva, vivace, seducente. Anche lei, come molti altri attori tenterà l’avventura hollywoodiana preferendo alla fine l’Europa. Di quel passaggio rimane un solo titolo, La Coqueluche de Paris di Henry Koster (’38), ragazza povera cerca marito ricco.

La seconda guerra rende le cose più difficili. Darrieux come altre star francesi partecipa a una grande tournée attraverso la Germania nazista nel 1941. L’accuseranno di avere flirtato con il terzo Reich, lei si difende – nel suo libro autobiografico – dicendo che l’aveva fatto per salvare il suo nuovo compagno, il diplomatico e play boy dominicano Porfirio Rubirosa prigioniero dei nazisti. Nel ’45 viene convocata dal comitato di epurazione, in sua difesa arriva l’ex marito, Decoin, partigiano, e la vicenda si chiude per sempre.

Darrieux ricomincia la sua carriera, gira con Marcel L’Herbier, Marcel Achard, Claude Autant-Lara, ritrova anche Decoin (La follia di Roberta Donge 1952). E soprattutto lo stesso anno è la protagonista di Operazione Cicero di Mankiewicz accanto James Mason. Ma è grazie a Max Ophuls che tocca il punto più alto della sua carriera. Con lui gira tre capolavori quali La Ronde (Il piacere e l’amore, 1950), Le Plaisir (Il piacere, 1952) e Madame de… (I gioielli di Madame de, ’53), un melodramma fiammeggiante, per molti il suo miglior film, in cui Darrieux è lacerata tra due uomini, Vittorio De Sica e Charles Boyer.

Negli anni Cinquanta l’attrice è ormai un pilastro del cinema francese, lavora con tutti i registi, da Sacha Guitry a Claude Autant Lara. La Nouvelle Vague la lascia un po’ in disparte anche se la vorranno Chabrol (Landru, ’63) e poi Paul Vecchiali fino all’incontro nello splendido Les Demoiselles de Rochefort (Josephine) con Jacques Demy che ritroverà per Une Chambre en ville (’82).