La prima domanda che uno si pone a proposito di Adam’s Passion è perché l’Opera di Roma l’abbia voluta allestire in una sala della Nuvola all’Eur dove l’azione scenico-visiva e musicale firmata da Arvo Pärt e da Robert Wilson non si poteva fruire se non a pezzetti e a prezzo di contorsioni alla fine inutili. Non si vedeva. E il lavoro è molto molto visivo. Lo schermo su cui sembra avvenire tutto quanto – dai giochi di luci ai movimenti recitati-danzati che sono sul palcoscenico ma vengono come catturati dallo schermo -, a parte la vicenda musicale che è affidata all’orchestra e al coro del Teatro dell’Opera e ai solisti di canto, tutti posti alle spalle del pubblico, è all’altezza delle sedie (scomode) degli spettatori. Vedono lo spettacolo solo i fortunati della prima fila. Ma le file sono quaranta o più. Il resto del folto pubblico – Pärt e Wilson attirano sempre e l’evento è memorabile – non vede niente. Indovina, tenta disperatamente di carpire qualcosa. Un’altra malefatta dell’istituzione romana, già in affanno nel corso dei decenni.

QUEL CHE SI INTRAVEDE è magico. È di qualità eccelsa. Parliamo del visuale (teatrale senza teatro, come in un grande meraviglioso video) perché è chiaro che prevale sul musicale. Non perché le quattro opere di Pärt usate per mettere in scena la vita sofferta di Adamo dopo la sua cacciata dall’Eden non siano pregevoli, anzi. Ma perché l’invenzione visiva di Wilson, che ha messo mano a regia, luci, coreografia insieme a fidati collaboratori, ha la forza un po’ ipnotica di assorbire attenzione e emozioni, nonostante l’opera sia nata come omaggio alle musiche di Pärt e logicamente non sarebbe né concepibile né fruibile (in condizioni normali, s’intende, e non è questo il caso) senza quelle musiche.

La redazione consiglia:
Punk e decisamente perverso. E’ Peter Pan secondo Robert WilsonImmobilità, movimenti minimi, figure ieratiche che appaiono in uno spazio sospeso e attraversano lo spazio fisico come in trance, con la lentezza proverbiale di Wilson ancor più esaltata. Luci tenui per un buon tratto e poi improvvisi violenti fari che occupano tutto lo schermo (sono l’annuncio delle tragedie che seguiranno la «perdita dell’innocenza» di Adamo), un albero (quello che Adamo non avrebbe dovuto profanare…) scheletrico grazioso che cala dall’alto, piccoli esseri (i due boy e le tre girl) che ogni tanto agitano la scena (quasi sempre come ombre di corpi), linee di luce sullo sfondo di luce, Lucinda Childs (la woman) e Michalis Theophanous (il man, cioè Adamo) semplicemente fantastici nella precisione meccanica eppure perturbante di movimenti graduali e scatti improvvisi di un attimo.

SE C’È DRAMMA teatrale in qualche punto verso il finale è perché la storia musicale di Pärt, documentata dalla label Ecm, viene rispecchiata. Sono i momenti in cui la musica si impone, nella concezione generale, al visivo-scenico. Il Miserere (1989-’92) per soli coro ensemble e organo che chiude Adam’s Passion è un prodigio di scrittura come sempre nell’attività del compositore estone ma il liturgico, il tono di dramma sacro lo caratterizzano anche troppo. Certo non ha la grazia intensa, la semplicità ingannevole di Tabula rasa (1977) per due violini orchestra d’archi e pianoforte che lo precede nello spettacolo, né la sottile complessità, assai aperta, intima, del «preludio» costituito da Sequentia (2014-’15) per orchestra d’archi e percussioni. Mentre assomiglia di più all’Adam’s lament (2010) per coro e orchestra d’archi che è al secondo posto. Ma tutte sono eseguite senza stacco, come un unico flusso sonoro. Orchestra dell’Opera, pur diretta dal pärtiano doc Tõnu Kaljuste, piuttosto opaca e in qualche difficoltà.