L’ultima opera importante, Lux Umbrae (La luce dell’ombra) Adalberto Mecarelli (1946-2022) ha portato a compimento a Parigi negli ambienti del Musée National Picasso nei mesi a cavallo tra il 2021 e il 2022, quando, di lì a poco, sarebbe stato colpito dalla malattia improvvisa e mortale che lo ha vinto il 25 dicembre scorso. Mecarelli ha potuto curare tuttavia anche il volume che dà conto di questa sua realizzazione, stampato nel novembre. Si tratta di un vero e proprio libro d’artista, non di un semplice, usuale catalogo della mostra. Non contiene alcuno scritto critico o di presentazione.

In due pagine affrontate si leggono i versi 337-352 dal libro IV del De rerum natura di Lucrezio che si aprono con le parole «dal buio possiamo vedere le cose che sono in luce». E poi solo una succinta (ed esauriente, nella sua laconicità) nota informativa che qui trascrivo: «Adalberto Mecarelli è nato in Italia, a Terni, nel 1946. Vive e lavora a Parigi. Lux Umbrae è il titolo di un insieme di diciotto proiezioni di luce che investono i quattro piani del Museo Nazionale Picasso. Appositamente concepito per il Museo, questo insieme instaura un dialogo poetico con i luoghi e disegna, dalla hall fino al terzo piano, un percorso inedito all’interno dell’Hôtel Salé. Fondate su un giuoco tra presenza e assenza, visibile e invisibile, queste vere e proprie sculture di luce sottolineano dei particolari architetturali che rendono sensibili le differenti stratificazioni storiche dell’edificio, dalla metà del diciassettesimo secolo ad oggi.

L’insieme funziona come un invito a portare lo sguardo ed a scoprire le forme emerse dall’ombra che illuminano un nuovo spazio immaginario all’interno del museo così trasfigurato». Questa nota si legge a chiusura del volume. Sulla pagina accanto un autoritratto di Mecarelli. Il suo volto fotografato frontalmente.

Una prima volta, è attraversato da un’ombra che ne oscura parte della fronte, il naso e la linea delle labbra e lascia in luce, di qua e di là, tempie, orecchie, sopracciglia e metà di ciascun occhio.

Una seconda volta la luce illumina quanto del volto era in ombra: fronte, naso bocca e la parte di ciascun occhio che nella prima immagine era oscurata. I pittori si autoritraevano, per antica consuetudine, con una tavolozza alla mano ed un pennello. Lo scultore Mecarelli fonde, per così dire, il suo volto in virtù della sua plastica materia luminosa. Mi sovviene, considerando questo di Mecarelli, un autoritratto celebre. Alludo all’Autoritratto di Joshua Reynolds venticinquenne, intorno al 1748, 1749, un olio su tela (cm 63×74) ora alla National Portrait Gallery di Londra. Il giovane pittore porta la mano sinistra a far ombra agli occhi, ché troppo viva è la luce del sole, e il suo volto ne risulta raffigurato come un contesto di vivida luce e d’ombra leggera. Non so se Reynolds – e non credo – ma, mi piace pensare, forse sì Mecarelli avrà conservato memoria, cavandone una suggestione che potrebbe aver agito nel concepire questo suo Autoritratto, di quei versi del Purgatorio (XV, 13-15) allorché Dante si dice colpito dall’eccesiva luce d’un raggio di sole «ond’io levai le mani inver la cima/delle mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,/che del soverchio visibile lima».

Ma torno a sfogliare questo Lux Umbrae appena stampato. Se ne evince che l’intento di Mecarelli è stato quello di ragionare sugli ambienti dell’Hôtel Salé che accolgono le opere di Picasso e non, direttamente, su quei dipinti e su quelle sculture del grande artista che vi sono conservati. Sicché le proiezioni luminose e gli oscuramenti vengono a partecipare dello spazio medesimo che è lo spazio dei Picasso esposti. Sono appena tre infatti, un inchiostro e due tele, i lavori di Picasso coinvolti negli interventi di Mecarelli. E mentre in altre realizzazioni le proiezioni di luci e di ombre entravano negli equilibri compositivi di questo o quel dipinto di questo o quel maestro inverandoli e mutandoli, in questo caso Mecarelli con la sua opera si pone accanto a Picasso e con Picasso condivide gli spazi del museo.