«Sì all’acqua pubblica, no al nucleare». Le due rivendicazioni, una accanto all’altra, fanno tornare alla mente la primavera di dieci anni fa, quando tra il 12 e il 13 giugno oltre 27 milioni di italiani si recarono alle urne per apporre una X su quattro quesiti referendari. Quelli su servizi pubblici locali e legittimo impedimento furono meno sentiti dei due che trainarono la corsa vincente al quorum (54%) e all’affermazione quasi unanime dei Sì (94%): acqua e nucleare. «Indietro non si torna» è l’affermazione aggiunta per la mobilitazione odierna, dalle 15.30 in piazza dell’Esquilino (Roma). Non un appuntamento di amarcord, ma un’occasione per continuare la battaglia per i beni comuni.

«La questione del nucleare era più semplice: riaccendere o meno i reattori – dice Simona Savini, del Forum italiano dei movimenti per l’acqua – Più complicata quella dell’acqua: lo stop alla privatizzazione immediata ha avuto successo, ma poi il parlamento non ha approvato la legge che gli italiani volevano. In quel vuoto si è inserito il mercato, che a piccoli passi sta facendo avanzare la privatizzazione». È questa differenza che spiega perché a dieci anni dall’affermazione referendaria i comitati per l’acqua bene comune siano rimasti attivi nei territori, continuando a scendere in piazza, protestare, ma anche fare proposte concrete per l’accesso universale a un diritto primario.

NELLA SETTIMANA precedente al decennale iniziative, dibattiti e presidi si sono svolti in 16 regioni italiane: dal Piemonte alla Sicilia, dall’Emilia-Romagna al Lazio, passando per Campania, Veneto, Abruzzo e molte altre. Dai territori i comitati convergeranno a Roma per puntare il dito contro il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) del governo Draghi. «L’attuale versione del Pnrr è in perfetta continuità con l’azione dei governi precedenti tesa a disconoscere e tentare di cancellare l’esito referendario: un ulteriore incentivo verso la gestione mercantile dei beni comuni, un evidente vulnus democratico per il mancato rispetto della volontà popolare», si legge nella convocazione del corteo.

Sulle teste dei manifestanti volerà un grande pianeta terra di colore blu, come quello che segnò le mobilitazioni del 2011. Dovrebbe essere presente anche una copia dell’enorme striscione che recita: «Giù le mani dall’acqua». L’originale è sotto sequestro in questura da giovedì.

«VOLEVAMO srotolarlo per un’azione simbolica vicino al Campidoglio, ma ci è stato impedito. Siamo stati anche denunciati. Bisogna ripristinare il diritto a protestare», ha detto Paolo Carsetti del Coordinamento romano per l’acqua pubblica nella conferenza stampa organizzata ieri di fronte alla prefettura della capitale. Davanti allo striscione «Non per noi, ma per tutti» anche i precari di cultura, spettacolo, scuola e ricerca e i movimenti per il diritto all’abitare. Insieme hanno denunciato che le forze dell’ordine stanno negando le autorizzazioni a manifestare. «La questura impedisce cortei o determina in quali piazze si può manifestare con la motivazione degli assembramenti, ma è una scelta politica. Non ci risulta la stessa rigidità davanti ai maxischermi dove si guarderanno gli europei di calcio», hanno detto gli attivisti.

Il calendario delle prossime mobilitazioni è già molto fitto. Lunedì 14 alle 17 sindacati e associazioni di ricercatori presidieranno piazza Montecitorio durante la discussione del progetto di legge per la riforma di reclutamento e pre-ruolo. Il 15 manifesteranno i precari della scuola, la mattina davanti alla Camera e il pomeriggio al ministero dell’Istruzione, perché «il decreto Sostegni bis non risponde ai problemi della scuola». Lo stesso giorno i lavoratori di cultura e spettacolo hanno organizzato una mobilitazione nazionale davanti al ministero del Lavoro. «Chiediamo un incontro al ministro Orlando: è lui che si deve occupare della situazione di precarietà sistemica che viviamo. I sostegni non bastano, serve una riforma strutturale del settore», ha detto Marta De Maio.

ALLA CONFERENZA STAMPA i movimenti per il diritto all’abitare sono arrivati dal «muro popolare» organizzato all’alba davanti all’occupazione di via del Caravaggio, dove vivono oltre 300 persone. Ieri scadeva l’ultimatum del prefetto Matteo Piantedosi (ex capo di gabinetto di Salvini al Viminale), ma lo sgombero è stato sospeso. È in corso una trattativa con la Regione Lazio per trovare una soluzione abitativa alle persone. «Sarebbe un segnale importante per tutta la città», ha detto Anna Sabatini, una delle abitanti del palazzo occupato.

Il presidio anti-sgombero davanti all’occupazione di via del Caravaggio, foto di Giansandro Merli