Tra il 2010 e il 2014, le quattro multiutility che gestiscono le risorse idriche nel centro-nord d’Italia (A2A, Iren, Hera e Acea) hanno prodotto utili netti per un miliardo e 800 milioni di euro e hanno distribuito oltre due miliardi di dividendi. In barba al voto dei cittadini, che appena sei anni fa stabilirono che l’acqua deve rimanere pubblica e che su di essa non bisogna guadagnarci. La denuncia arriva dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, nella Giornata mondiale a essa dedicata.

Il quadro italiano fornito dai promotori del referendum va in senso opposto alla volontà espressa dai cittadini: «Il combinato disposto di diversi provvedimenti approvati negli ultimi anni costruisce un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutility attuali, già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i campioni nazionali in grado di competere sul mercato globale», scrivono in una nota. Unica eccezione, l’Acquedotto Pugliese, il più grande d’Europa, che ha finora resistito ai tentativi di privatizzazione.

Inoltre, attraverso il nuovo metodo tariffario elaborato dall’Autorità per il gas, l’energia elettrica e il sistema idrico, è stato disinnescato pure il secondo quesito referendario, che prevedeva l’obbligo di reinvestire i profitti.

Secondo il Forum, la combinazione dell’affidamento del servizio ai privati e dell’applicazione del principio del «full cost recovery», vale a dire la completa copertura dei costi attraverso la bolletta, è stato un fallimento: stando ai dati di Federconsumatori, le tariffe sono aumentate del 100 per cento tra il 2010 e il 2016, mentre gli investimenti sono calati del 50 per cento. Mentre alla Camera la maggioranza a guida Pd ha «stravolto» la legge sulla gestione pubblica del servizio idrico, «svuotandone l’impianto generale e travisandone i principi essenziali».

Il movimento per l’acqua invoca «la necessità di una radicale inversione di rotta». fondata su un «nuovo sistema di finanziamento che sia basato sul ruolo fondamentale, oltre che della leva tariffaria, della finanza pubblica e della fiscalità generale», con un ruolo forte dello Stato e la partecipazione delle comunità locali.