La posta in gioco è ancora quella: la privatizzazione dell’Acea. Dopo il pasticciato ritiro da parte del governo – per richiesta esplicita del presidente Napolitano – del decreto Salva Roma, nel dicembre scorso, Scelta civica aveva incassato la sconfitta ma promesso a chiare lettere che ci avrebbe riprovato. Così è andata. Al senato ora l’area montiana, e in particolare quella legata ad alcuni gruppi di potere della Capitale, ci riprova. Il guaio è che stavolta anche il Pd o, almeno, una parte chiede di votare – stavolta – per la privatizzazione dell’agenzia idrica romana, nonostante la battaglia fatta, e vinta, dai cittadini romani ai tempi del sindaco Alemanno, nel 2012. E così ieri si è di nuovo scatenato il fuoco di fila del Pd della Capitale che oggi siede in parlamento. E di quello del Campidoglio.

Il decreto che contiene la norma Salva-Roma ora è in commissione e presto arriverà al voto del senato. L’emendamento o, meglio, uno degli emendamenti sul tema, è di Lega e da Scelta civica e in particolare di Linda Lanzillotta, pasdaràn della privatizzazione dell’Acea.
Il Pd romano, già protagonista del fuoco di fila di dicembre, parte all’attacco con un appello è durissimo: «Si evitino colpi di mano», dice il testo, non si introducano norme «che mirano a privatizzare l’acqua pubblica e i servizi strategici per la cittadinanza: gli emendamenti Lanzillotta-Lega lederebbero l’autonomia di Roma Capitale e calpesterebbero il voto referendario di milioni di cittadini sull’acqua pubblica e la sentenza della Corte Costituzionale».

I no sono tre: «alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi strategici per la cittadinanza»; all’estensione «dei vincoli del patto di stabilità alle municipalizzate» perché «vorrebbe dire rendere di fatto impossibile la manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti più che mai necessaria come dimostrano le emergenze di questi giorni». Il terzo no è all’introduzione di una norma sui licenziamenti per motivi economici, che significherebbe «ledere i diritti dei lavoratori e aggravare la già pesante situazione economica cittadina». L’appello è firmato da un gruppo trasversale di deputati dem (Umberto Marroni, Lorenza Bonaccorsi, Micaela Campana, Renzo Carella, Stefano Fassina, Andrea Ferro, Monica Gregori, Fabio Melilli, Michele Meta, Marco Miccoli, Matteo Orfini e Marietta Tidei).
I deputati ricordano la battaglia campale romana (Marco Miccoli, all’epoca segretario del Pd della Capitale è furibondo: «Abbiamo sconfitto Alemanno, costruito un fronte con tutta la città e imposto il rispetto della volontà di un milione 400mila persone») e preparano le barricate alla camera, dove il provvedimento, se modificato, dovrà tornare.
Il guaio è che al senato il Pd ha presentato un altro emendamento, con l’obiettivo di mediare con quello di Lega-Sc. Ma ripropone tanto la dismissione delle quote «delle società quotate in borsa» quanto «il riequilibrio del personale» di quelle in perdita, leggasi appunto Acea, ma non solo. È firmato da Giorgio Santini, Claudio Broglia e Francesco Verducci: un renziano, un bersaniano e un giovane turco. E per molti, del Pd romano e non solo, il sospetto è che la privatizzazione dell’Acea – il regalo che il sindaco Alemanno aveva tentato di fare alla famiglia Caltagirone, interessata alla svendita – diventi la merce di scambio per un accordo fra il nuovo Pd renziano e Scelta civica, favorevole ad un avvicinamento a Renzi, non precisamente disinteressato.