Mentre chiudiamo il giornale, a Ginevra non è stato ancora raggiunto un accordo sul nucleare iraniano. Da una parte, i negoziatori iraniani hanno chiesto la cessazione immediata delle sanzioni petrolifere e bancarie, dall’altra, gli ispettori dell’Agenzia atomica internazionale hanno annunciato che saranno domenica a Tehran per pianificare nuove ispezioni. Per tentare una soluzione del contenzioso, che va avanti dal 2003, i colloqui bilaterali proseguono anche oggi.

Tuttavia, il segretario di Stato, John Kerry, ha sottolineato che la bozza di accordo non è stata ancora definita. Ma i segnali sono incoraggianti, lo stesso Kerry, che era in visita in Medio oriente, è rientrato in fretta a Ginevra, con lui sono arrivati anche i ministri degli esteri britannico William Hague e tedesco Guido Westerwelle. Le voci che trapelano dal tavolo negoziale sono segni di un’accelerazione improvvisa della mediazione internazionale dopo lo stallo che dura dal 2004 sulle intenzioni nucleari di Tehran.

Questo andamento dei colloqui viene confermato dai negoziatori iraniani. Lo ha ammesso il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Javad Zarif, in un’intervista all’agenzia Irna: «Dobbiamo correre rischi», ma tenendo gli «occhi aperti» e senza «esagerare le aspettative», ha detto Zarif, che ha anche parlato di «progressiva eliminazione» delle sanzioni e di discussioni su altri «dossier». Mentre, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha fatto già riferimento ad una bozza di «road map per la definizione di una soluzione definitiva sul contenzioso».

Tuttavia, i primi a sembrare di temere un passo falso sono proprio i due leader Khamenei e Obama, la cui longa manus è presente a Ginevra. Proprio ieri, in un’intervista alla Nbc Obama ha detto di non fidarsi dell’Iran. Ma il dibattito pubblico sulla questione nucleare si è acceso in particolare a Tehran. «Si tratta di un momento storico, iniziato con l’elezione di Hassan Rohani, che ha aperto l’occasione per il dialogo sul nucleare e permesso di uscire dalla forma di politica escatologica di Ahmadinejad e dei suoi sostenitori», dichiara al manifesto l’intellettuale iraniano Ramin Jahanbegloo, docente di Etica dell’Università di Toronto. «Il nuovo corso delle relazioni tra Washington e Tehran sarà improntato al pragmatismo. L’élite politica iraniana tenta di riconquistarsi così uno spazio sulla scena internazionale. Ovviamente questo provocherà una reazione degli ultraconservatori, ispirati dalla sovranità divina più che dalla capacità civile di governare, ma mostrerà il potenziale repubblicano della società», prosegue Jahanbegloo.

In merito alle perplessità espresse da Khamenei sulle possibilità di un accordo, Jahanbegloo ribatte: «In realtà, Ali Khamenei ha dato il disco verde al ministro degli Esteri, Javad Zarif, per impegnarsi nei colloqui nucleari in linea con gli interessi iraniani e per il ruolo che Tehran può giocare in Siria, Iraq e Afghanistan. Questo lega indissolubilmente politica interna ed estera. Inoltre, non bisogna esagerare la portata delle proteste che hanno accolto Rohani al suo ritorno a Tehran da Washington perché il neo-eletto presidente ha trovato ad accoglierlo anche il consigliere di Khamenei in persona».

Non solo, dopo una prima fase di evidente scetticismo, anche i riformisti iraniani sembrano davvero fare quadrato intorno a Rohani. «Ora i riformisti sono di nuovo parte del gioco. L’ex presidente Mohammed Khatami sta sostenendo Rohani. È vero che i riformisti iraniani agiscono in retroguardia, ma sanno bene che devono appoggiare il tecnocrate se vogliono che (Rohani, ndr) abbia successo, per evitare che gli ultra conservatori abbiano motivi supplementari per escluderli dalla vita politica. Non solo, da quando è stato eletto Rohani ha fatto delle scelte di grande interesse. Ne cito due: la nomina di Javad Zarif a ministro degli Esteri e il rilascio dell’avvocato Nasrin Sotudeh. Tuttavia il nuovo presidente si sta muovendo molto gradualmente e razionalmente perché non ha intenzione di finire come Khatami», ammette il docente.

Tuttavia, è evidente che gli iraniani non sono pronti a cedere alle condizioni dei 5+1. «L’Iran non vuole l’atomica ma neppure fermarsi con l’arricchimento dell’uranio al 20%, i negoziatori dovranno trovare il giusto mezzo, non raggiungere una soluzione estrema ma mediata. Quello che fa ben sperare nel buon risultato dei negoziati è che sia Obama sia Rohani vogliono una soluzione. E così, le resistenze francesi (espresse dal ministro Laurent Fabius, ndr) non vengono prese seriamente in considerazione in questo contesto. Sia le autorità sia il popolo iraniano sono molto attenti ai passi che vengono dagli Stati uniti: per ora l’accordo si deve trovare con Washington non con Parigi».
Eppure si parla di nucleare ma sembra che sia la crisi siriana al centro dei colloqui. «A tutti i livelli del negoziato, la Siria è parte delle discussioni. Gli iraniani mostrano tutta la loro influenza sulla crisi. Per esempio, potrebbero non essere più attori attivi del conflitto per difendere gli interessi economici della Repubblica islamica. Ma prima che questo avvenga – conclude Jahanbegloo – gli iraniani vogliono sentire dalla voce di Obama che le sanzioni stanno per essere cancellate».