Nuova linfa per le finanze moribonde di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Dalla Commissione Europea, con una comfort letter indirizzata al ministero delle Imprese e del made in Italy di Adolfo Urso, è arrivato l’ok al prestito ponte pari a 320 milioni destinato ai nuovi-vecchi commissari del siderurgico (molti di questi erano già presenti con ruoli apicali durante la gestione Riva). Il prestito prevede un tasso d’interesse esorbitante pari all’11,6%. La cifra sproposita non sembra spaventare il titolare del Mimit che, smanioso di dichiarare, ha espresso che la concessione «attesta la validità del piano industriale elaborato dalla gestione commissariale, tale da consentire la restituzione nei tempi – senza configurarsi come aiuto di Stato – con un tasso di interesse piuttosto significativo».

L’ATTRIBUZIONE DELLA SOMMA arriva qualche giorno dopo l’approvazione del decreto Agricoltura che riguarda le imprese di interesse strategico nazionale, tra le quali, manco a dirlo, rientra il siderurgico. Il decreto permette che Ilva in amministrazione straordinaria – società proprietaria degli impianti dati in affitto ad Adi, e detentrice di una parte dei fondi sequestrati alla famiglia Riva – possa aumentare le risorse da trasferire ad Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria fino a un massimo di 150 milioni di euro.

Facendo un passo indietro, come fa Ilva in amministrazione straordinaria a detenere parte del patrimonio sequestrato dalla Guardia di finanza al vecchio management dell’azienda nell’ambito dell’inchiesta iniziata nel 2012 per gravi violazioni ambientali e alla salute dei tarantini? La risposta, seppur assurda, ha acquisito una dimensione naturale nella cronistoria delle vicende giudiziarie in riva allo Ionio. La decisione del tribunale di Milano di destinare la cifra sequestrata alle bonifiche ambientali del territorio, fu in parte aggirata quando una bella percentuale della somma fu fatta confluire nel patrimonio destinato ai commissari di Ilva.

IN VIRTÙ del prestito ponte concesso dall’Unione Europea, e dai fondi del decreto Agricoltura sottratti alle bonifiche, la somma è forse utile a scongiurare il rischio della cig (senza alcuna integrazione) per 5200 nuovi operai – di cui 4400 nella sola Taranto – ma non può produrre un accordo di programma alla luce della pericolosità degli impianti e rispettare l’autorizzazione integrata ambientale.

È nuovamente opportuno un esercizio di memoria, andando a ritroso solo di qualche mese. Giancarlo Quaranta, attuale commissario di Adi in as, lamentò, audito in commissione Industria del Senato sul decreto Agricoltura, una situazione debitoria dell’azienda «superiore di tre-quattro volte a quanto preventivato e soprattutto alla sofferenza dichiarata». È lo stesso commissario a dirci dove saranno destinati i fondi: a coprire i debiti con i fornitori, così come avveniva nelle precedenti versioni di Acciaierie di Italia, una holding perennemente in rosso.

SI STENTA A SCORGERE il piano industriale rilanciato dal ministro, e l’impressione è quella, ancora una volta, che nonostante i potenziali investitori millantati, le risorse in arrivo saranno l’ennesima pezza che consentirà di tapparsi il naso e proseguire per breve tempo, ritrovandosi poi nella medesima situazione alla ricerca di proventi da decreti e prestiti ad alto tasso di interesse.
I sindacati stessi, nonostante non sembrino aver compreso che un posto di lavoro che produce una media di 1650 morti l’anno per malattie cardiovascolari e respiratorie non possa essere considerato mera vertenza, ritengono che quanto pattuito non sia abbastanza e chiedono all’unisono di essere convocati a Palazzo Chigi.

Mentre il 15 luglio il commissario Quaranta sarà ricevuto in commissione ambiente dalla regione Puglia – all’ordine del giorno la Valutazione di impatto sanitario (Vis) presentata da Acciaierie d’Italia nell’ambito della procedura Aia, e la curiosa omissione dei picchi di benzene a ridosso del quartiere Tamburi relativi all’anno 2023 – e la procura che indaga Lucia Morselli e alcuni suoi fedelissimi per aver truccato dati relativi all’emissione di CO2 negli impianti, una città intera aspetta, immobile come il caldo scirocco che la attanaglia, di conoscere il suo destino.