Alla speranza che si aprano finalmente le porte del carcere, Lula si rifiuta di aggrapparsi: «Non c’è niente di peggio per un prigioniero che un’aspettativa delusa», ha dichiarato in un’intervista a proposito della possibilità che gli venga riconosciuta la semilibertà, con l’unico obbligo di dormire in carcere.

Una possibilità divenuta assai più reale dopo la richiesta della Procura federale al Tribunale supremo di giustizia (Tsj) di concedere all’ex presidente – in carcere dall’aprile del 2018 per il caso dell’appartamento di tre piani a Guarujá, il famoso «triplex» – il regime di semilibertà, avendo già scontato un sesto della pena (grazie alla riduzione della condanna da 12 anni e 1 mese a 8 anni 10 mesi e 20 giorni, disposta dalla V corte del Tsj lo scorso aprile).
Ma poiché il parere della Procura non è vincolante, è probabile che – prima che il Tsj si pronunci sul caso in una data ancora non fissata – i nemici di Lula, a cominciare dai giudici dell’inchiesta Lava Jato, faranno di tutto per scongiurare il suo ritorno sulla scena politica.

A rendere la vita il più difficile possibile all’ex presidente, anche qualora riuscisse a uscire di prigione, sarà sicuramente la giudice di prima istanza a Curitiba Carolina Lebbos, la stessa che, tra altre cose, gli ha negato l’autorizzazione a prendere parte al funerale del fratello, che gli ha sottratto il beneficio della visita settimanale da parte di leader religiosi, che gli ha impedito a lungo di rilasciare interviste. E sempre che gli venga riconosciuto il regime di semilibertà, Lula potrebbe far ritorno in carcere di lì a poco, nel caso di una condanna in secondo grado – assai probabile – sul caso relativo alla tenuta di Atibaia, a São Paulo, per il quale è già stato condannato in primo grado a 12 anni e 11 mesi di prigione. Perché, nell’eventualità, gli anni di pena stabiliti nei due processi verrebbero sommati e per il diritto al regime «semi-aperto» ci sarebbe da aspettare ancora a lungo.

È del resto sicuramente al caso di Lula che papa Francesco deve aver pensato (giusto pochi giorni dopo avergli inviato una lettera di solidarietà) il 4 giugno intervenendo al vertice dei giudici panamericani con una dura denuncia del lawfare, l’uso del diritto come strumento di persecuzione politica, considerato dal papa un «grave rischio per la democrazia».