«Gli attuali meccanismi di governance economica della Ue sono sbagliati. Vanno cambiati in profondità non solo per i loro contenuti economico-sociali ma per la loro natura non democratica. Quella di oggi non è solo una crisi economico-sociale, è anche una crisi democratica». Abolire la Troika. Non è uno slogan elettorale, assicura Roberto Gualtieri, candidato Pd alle europee e in questa legislatura capo-negoziatore dei socialisti sulla riforma dell’eurozona. «Il parlamento europeo ha già votato per un radicale cambiamento del suo ruolo». «La Troika – spiega – è l’emblema della tecnocrazia: è l’organismo che verifica le condizioni per erogare gli aiuti salva-stati. Ma nasce all’esterno della Ue e non risponde al parlamento. E così le condizioni per gli aiuti agli stati non vengono sottoposte a una verifica democratica. È lo svuotamento delle procedure democratiche nazionali in assenza, ancora, di procedure democratiche europee. Il caso della Troika è il più estremo, ma tutta la governance va democratizzata. Faccio un esempio: a giugno usciranno le raccomandazioni agli stati, nell’ambito delle procedure del semestre europeo. Sono proposte dalla Commissione e votate dal Consiglio, senza alcun ruolo del Parlamento. Serve una procedura di co-decisione fra Parlamento e Consiglio. La camera degli stati e quella dei cittadini debbono avere lo stesso potere. E’ già così in molti casi, grazie al trattato di Lisbona, ma alcuni ambiti sono rimasti fuori. Fra cui proprio la governance economica.

Serve una riforma?

Serve una riforma dei trattati. Ma si può incidere anche attraverso un accordo interistituzionale. È un tema fondamentale: solo costruendo una governance democratica dell’Unione si possono creare le condizioni per un cambiamento dei contenuti e superare l’austerità. Se il peso dei paesi nel Consiglio è legato al Pil, siamo molto vicini alla democrazia censitaria dell’800.

Questa è una proposta del Pse?

Sì, ed è un tema sul tavolo, già votato in parlamento.

Ma per i sondaggi il Pse è sotto il Ppe.

C’è un sostanziale testa a testa. La sera del 25 maggio si saprà chi è arrivato primo. E chi avrà un deputato in più indicherà il presidente della Commissione. Per questo il voto al Pd è un voto utile: un voto per costruire un’alternativa di governo.

Ricominciate con la campagna sul voto utile? Pensa che funzioni ancora nell’Europa dove dove i socialdemocratici governano con la destra in ben 10 stati? Vuole convincere gli elettori di Tsipras?

È la matematica: se la lista Tsipras prende deputati al Pse l’effetto sarà che il presidente sarà il popolare Junker.

Se la Lista Tsipras prende molti deputati il Pse potrebbe fare l’accordo a sinistra, anziché una nuova grande coalizione?

Se il Pse non sarà il primo partito il problema neanche si porrà. La condizione per intese a sinistra è che il Pse prenda più seggi del Ppe ed elegga il presidente.

Se il Pse non sarà il primo partito sarà perché in molti paesi i socialisti perdono voti. Come nella Francia di Hollande.

Non è così dappertutto. I socialdemocratici in Europa sono in crescita. In Francia Hollande ha scelto una correzione liberaldemocratica alla sua linea politica iniziale, ma non ha aumentato i suoi consensi.

L’Italia chiederà di rinegoziare il fiscal compact?

Circolano slogan approssimativi. Il fiscal compact è un pessimo trattato ma è stato reso da noi irrilevante. In sostanza dice che dobbiamo applicare il patto di stabilità e non prevede sanzioni. Ma quelle regole – l’obbligo del pareggio di bilancio, il non superamento della soglia del deficit oltre lo 0,5% e la riduzione del rapporto debito/Pil di un ventesimo l’anno, insomma il six pack – erano già state stabilite nel novembre 2011. Il problema è che vanno applicate utilizzando margini di flessibilità. Io penso che l’Italia, in autunno, quando ci sarà una rewiew generale della procedura di sorveglianza , dovrà battersi per un’interpretazione più flessibile del patto, che applichi quello che la commissione del resto ha già concesso agli altri, su nostra iniziativa, e cioè scorporare dal deficit gli investimenti che servono per i cofinanziamenti dei programmi europei. Poi dobbiamo rinegoziare il patto di stabilità, con lo scorporo strutturale. Tutto questo si può fare senza toccare il fiscal compact. Ma Grillo non lo sa perché si documenta su Wikipedia.

Vuol dire che lo spettro dei 50 miliardi da tagliare dal 2016, o ‘solo’ 30 secondo alcuni, è un falso spettro?

No, dico che c’è un margine per la politica, e che quella norma va rimodulata. Senza una maggiore crescita quel vincolo è insostenibile. Sarà impossibile rispettarlo, l’intera procedura salterebbe. E questo non riguarda solo l’Italia. Non c’è altra strada, va rinegoziata.