Abdel Sisi: «Mi candido alla presidenza»
Egitto Il capo delle Forze armate parla alla nazione dagli schermi della tv pubblica
Egitto Il capo delle Forze armate parla alla nazione dagli schermi della tv pubblica
Non meraviglia nessuno l’annuncio ufficiale della candidatura alle prossime presidenziali del capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi. Le dimissioni da ministro della Difesa sono però centrali per mantenere viva l’ambigua relazione tra élite militare e politica che domina l’Egitto dalla rivoluzione del 1952. Per questo è essenziale riprendere le parole dell’ex capo delle Forze armate, che mercoledì ha parlato alla nazione dagli schermi della televisione pubblica, con la divisa da generale. Il passaggio dall’uniforme alla giacca e cravatta, come fu per Gamal Abdel Nasser, Anwar al Sadat e Hosni Mubarak, è ora compiuto. «È l’ultima volta che mi vedrete con questa uniforme», ha detto Sisi.
Il candidato Sisi ha poi concesso ad altri di partecipare al voto, come aveva fatto Mubarak negli ultimi anni di presidenza con rivali che raccoglievano percentuali risibili. «La mia decisione di partecipare alle elezioni non impedisce ad altri di candidarsi», ha sottolineato Sisi. Ha poi assicurato che non intende formare un partito politico per il momento. Uno dei punti essenziali di questo «non programma» è la ripresa economica. Proprio su questo si misurerà in pochi mesi il successo o l’insuccesso del politico Sisi. I governi da lui voluti dopo il colpo di stato militare del 3 luglio scorso, guidati da Hazem Beblawi prima e Ibrahim Mehleb poi, si sono già mostrati incapaci di affrontare la grave crisi economica.
Colui il quale i Fratelli musulmani, maggior movimento di opposizione ora messo al bando, chiamano il «killer» (per la strage di Rabaa) può ora dire di «tendere la mano a tutti gli egiziani» come se non avesse mai fatto parte dell’esercito. Ma Sisi, di umili origini, Il più giovane dei generali, componenti del Consiglio supremo delle Forze armate, ha guidato l’Egitto per un anno e mezzo dal 25 gennaio 2011, macchiandosi di gravi crimini. È l’uomo dei test della verginità, disposti dall’esercito su 19 donne che manifestavano in piazza Tahrir l’8 marzo 2011. In quell’occasione assicurò che i test venivano disposti per impedire che i soldati «fossero accusati di stupro».
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