Innanzitutto c’è Gambino, personaggio sistematico, il quale si concede una vacanza nel più strano villaggio turistico (non) esistente, dalle cui peculiarità – esondazioni, nausee, sempre più frequenti esplosioni di esseri umani, dislocazioni di parti anatomiche – si tutela: stime accurate lo dovrebbero rendere freddo calcolatore. Oltre a lui, nel villaggio c’è solo una donna: le confessioni logorroiche di Filomena permettono a Gambino di studiarla in ogni suo più piccolo dettaglio corporeo, come lei fosse uno spazio abitabile mutevole e anestetizzante.

C’È POI un professionista della parola, forse un giornalista, le cui scelte lessicali mirano alla produzione di una stilistica impeccabile anche nel flusso narrante della propria coscienza. Soventi, quanto improvvise paralisi, però, scompongono ogni ambita eleganza del gesto e della favella, fratturando il suo corpo in una pura nudità: egli si abbandona così all’attesa che una affettuosa presenza sussurri suoni misteriosi nell’ordine corretto, la formula per riavviare il composto ritmo del quotidiano.
Infine una pedante voce accademica istruisce il lettore, con precisione tecnica dalla complessa multidisciplinarietà, su come spremere la vita, attraverso tagli e suturazioni, da rilievi collinari o montuosi: il controllo degli agenti patogeni, la strumentazione adeguata, lo studio delle correnti d’aria e delle perturbazioni, tutto deve concorrere a rimettere in moto una ciclicità non più naturale.

Questi sono gli ingredienti che compongono Deriva, romanzo dello scrittore e libraio romano Carlo Sperduti. Pubblicato da Pièdimosca edizioni (pp. 160, euro 15), si tratta di un esperimento letterario ben congegnato, in cui la richiesta di coerenza rimane costantemente frustrata, scalzata da una metodica educazione allo sconcerto. Gli intrecci narrativi, a loro volta intrecciati fra loro, ricorrono sottilmente l’uno nell’altro, mutando ambienti, personaggi e perfino poetica, in una crescente frequenza di fenomeni inspiegabili. Unica costante, la capacità dell’autore di produrre un incontro sincero e genuino con un’erranza disorientata, che è il nostro stesso stare al mondo sprovvisti di strumenti per capirlo davvero e abitarlo.

IL LIBRO di Sperduti offre questa esperienza giocando con il linguaggio, con la sua natura mediale utile a tracciare sentieri nello spaesamento: un’esperienza da vivere senza pudore, un’apertura da sostenere con coraggio, nell’assenza di veri punti di riferimento interpretativi.
Deriva è un libro da percorrere in più direzioni, in più volte, fino alla soglia in cui possibile e impossibile si indeterminano. C’è da abbandonarsi alla deriva, sopportarne la giocosa gravità, deporre la resistenza con cui ci ostiniamo a trattenere una realtà gratuita entro stime numeriche costanti e catalogazioni rigide, e accogliere la forma che i continenti attorno a noi assumeranno; c’è da ammettere che a sciogliere i nostri blocchi improvvisi, a rischiarare l’ignoto che avvolge l’oscurità di ogni notte e di ogni domani, sia una figura certo familiare ma, al contempo, sfuggente e mutevole.