SE in Francia, com’è auspicabile, prevarrà lo spirito repubblicano, Macron sarà presidente. Tireremo un sospiro di sollievo per aver evitato l’estrema destra, ma dovremo prepararci ad un lungo confronto con le politiche del nuovo inquilino dell’Eliseo. Tra i punti qualificanti c’è senz’altro il futuro dell’Europa. Macron ha vinto il primo turno promettendo una sua «rifondazione». La proposta è quella di ricreare l’asse franco-tedesco che sin dall’origine ha rappresentato il motore del processo d’integrazione europea, recuperando in tal modo una storica propensione francese che l’ha vista promotrice di tutti i grandi cambiamenti.

ALLE ORIGINI con Schumann (la cui «Dichiarazione» del 1950 è alla base della storia dell’Unione europea), poi con Delors (il suo libro bianco del 1985 ha disegnato i nuovi assetti europei), ora con Macron per un rilancio della competizione e del mercato. Non c’è da aspettarsi nulla di rivoluzionario, forse solo un dialogo rafforzato tra i due paesi del centro Europa che induca la Germania – e i paesi del nord – ad attenuare il rigore in materia di risanamento e permetta alla Francia – e ai paesi del sud – di realizzare politiche di sostegno alla domanda. Si tenterà in tal modo di disinnescare l’euroscetticismo diffuso e riprendere il cammino (En marche!) di questa Europa.
E i fautori di «un’altra Europa»? Sarebbero le vere vittime di questa strategia. Qualcuno potrebbe pensare che, in fondo, non sarebbe una gran perdita vista la sostanziale assenza sul proscenio della politica di una prospettiva realmente alternativa. La sinistra, anche in Francia, non è riuscita ad andare oltre il «protezionismo solidale» di Mélenchon: slogan elettorale di successo e nulla più. In Italia, poi, tra chi vuole uscire dall’euro, chi vuole uscire dall’Unione, chi vuole semplicemente uscire dal mondo civile e tornare a Westfalia, la divisione regna sovrana.

URGE UN’ANALISI SERIA sul futuro dell’Europa che sappia individuare i possibili scenari per un’integrazione politica che si ponga in conflitto con le prospettive conservatrici degli attuali assetti di potere; in grado di misurarsi con il riformismo continuista à la Macron. Abbiamo bisogno di una «rifondazione europea» che operi nel segno della discontinuità.
Alcune premesse dovrebbero essere chiare. La costruzione di un’Europa democratica e pluralista deve rinvenire le proprie fondamenta nel modello sociale europeo. Quel che è stata definita l’Europa dei diritti che può essere contrapposta a quella dei mercati e della finanza. Si impari però anche dalle delusioni sofferte e si eviti ogni semplificazione. La formula appena richiamata ha segnato la stagione della scrittura della Carta dei diritti fondamentali europei approvata con grandi speranze a Nizza nel 2000 e poi inserita nel Trattato di Lisbona.

QUANDO IL TRATTATO è entrato in vigore (dicembre 2009) la crisi economica ha dominato la scena e la Carta è stata abbandonata al suo triste destino d’irrilevanza. Dunque, dovrebbe ormai essere chiaro che i diritti da soli non bastano, è necessario anche superare la logica pervasiva dei mercati e il dominio della finanza.

SE DA QUESTA PROSPETTIVA si guarda alla storia dell’Unione europea non è difficile individuare l’obiettivo strategico che forze alternative all’attuale modello di sviluppo dovrebbero perseguire: abbandonare Maastricht. Fu lì che si produsse la definitiva scissione tra diritti e mercato, l’abbandono di ogni disegno di un’Europa democratica per affermare un ordine dominato dalle ragioni della finanza, dalla stabilità dei mercati e dei bilanci. Non furono tanto i parametri economici imposti per la partecipazione all’Unione (stabilità dei prezzi, situazione delle finanze pubbliche, tasso di cambio, tassi di interesse a lungo termine), quanto l’imporsi di un vero e proprio «paradigma generale». Una nuova razionalità che ha finito per dominare il seguito della storia dell’Europa, bandendo la politica sociale, escludendo il conflitto come strumento di crescita e affermazione dei diritti, imponendo una specifica visione neoliberista come unica dimensione del dialogo tra gli stati. Del modello sociale europeo, da allora, s’è persa traccia.

È DUNQUE NECESSARIO ricostruire l’Europa. C’è chi dice che sia possibile farlo ricominciando da Maastricht, limitandone gli eccessi. L’establishment europeo ha definito la sua strategia e in Francia si appresta a vincere le elezioni presidenziali. Siamo in attesa di una voce che parli un altro linguaggio, magari riscoprendo altri modelli e luoghi della nostra memoria storica. Nel 1944 Spinelli, Rossi e Colorni così concludevano il loro Manifesto, per un Europa libera ed unita: «Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà». La strada per un’altra Europa è stata segnata e ci porta da Maastricht a Ventotene.