Ahmed Abu Khattala è sbarcato, in manette, negli Stati Uniti. Ieri il portavoce dell’ufficio del procuratore di Washington, William Miller, ha reso noto l’arrivo del leader libico delle milizie islamiste Ansar al-Sharia, sospettato di essere il principale ideatore del sanguinoso attacco all’ambasciata statunitense di Bengasi. Il sospetto terrorista è stato interrogato da agenti dell’Fbi sulla nave militare americana a bordo della quale è stato portato negli Stati uniti. Subito dopo la sua cattura, molti esponenti repubblicani avevano affermato che Khattala sarebbe dovuto essere trasferito a Guantanamo invece di essere sottoposto, come ha deciso di fare l’amministrazione Obama, alla giustizia federale.

L’11 settembre 2012 la Libia era nel caos, insieme al resto del Medio Oriente: manifestazioni si stavano tenendo in tutte le principali città della regione per l’uscita di un film statunitense che dipingeva il profeta Maometto come un sanguinario e un donnaiolo. Ma l’attacco all’ambasciata – in cui morirono l’ambasciatore Christopher Stevens, un funzionario della sicurezza e due uomini della CIA – si rilevò ben presto un piano sofisticato e organizzato da tempo. L’attentato provocò grande imbarazzo nei servizi segreti Usa: la Cia stava usando l’ambasciata di Bengasi per operazioni segrete. Il 18 giugno scorso Fbi e Cia hanno catturato il principale sospetto, ora in custodia negli Stati Uniti, una mossa duramente criticata dalle autorità libiche che hanno accusato Washington di aver violato la sovranità del Paese.