Visioni

A Vicenza Jazz il trio delle meraviglie di Franco D’Andrea

A Vicenza Jazz il trio delle meraviglie di Franco D’AndreaIl trio di Franco D'Andrea – foto di Roberto De Biasio

Musica La classe e l'intelligenza del settantottenne pianista che mostra - nella performance in cartellone - un entusiasmo per la sperimentazione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 21 maggio 2019

Alla fine viene fuori anche Tiger Rag, inciso nel 1917 dalla Original Dixieland Jass Band, uno dei primi standard della storia del jazz: ma neanche l’ombra del passatismo, del revival, nel set di Franco D’Andrea. Nel suo nuovo trio, che il pianista ha presentato in prima assoluta a Vicenza Jazz (24a edizione, dal 9 al 19 maggio), l’ispirazione che viene dal jazz tradizionale è uno degli elementi di una musica che sfugge ad agevoli definizioni, e in cui la lezione del jazz degli anni dieci-venti si fonde con un grande senso dell’informale, col blues, con ritmi elettronici, con suoni elettronici anche molto astratti, con momenti ipnotici. Oltre ad aver lavorato e inciso con formazioni di una certa ampiezza, sestetto e ottetto, negli ultimi anni D’Andrea ha mostrato una forte propensione per il trio: un “Piano Trio” con contrabbasso e batteria (Aldo Mella e Zeno De Rossi); “Traditions Today” con trombone e clarinetto (Mauro Ottolini e Daniele D’Agaro); e “Electric Tree” con sax e, irritualmente, un dj (Andrea Ayassot e DJ Rocca). Il nuovo trio è con Mirko Cisilino, tromba, e Enrico Terragnoli, chitarra ed elettronica, e si chiama “New Things”, un plurale che non può però non evocare l’espressione al singolare che storicamente è stata equivalente di “free jazz”, e che d’altro canto può ben riassumere la tensione di D’Andrea per cose nuove testimoniata, oltre che dalla sua carriera, dal ventaglio di formazioni che ha concepito in questi anni.

A Vicenza Jazz D’Andrea si è esibito nell’ambito di una “Top Jazz Night”, serata consacrata ad alcuni dei vincitori dell’edizione 2018 del referendum tra gli addetti ai lavori promosso dal mensile Musica Jazz, che lo ha proclamato per l’ennesima volta “musicista italiano dell’anno”: la consultazione esiste dal 1982, e il pianista, che negli ultimi anni ha ottenuto questo riconoscimento quasi invariabilmente, è alla sua dodicesima affermazione in questa categoria, un record (ma ci sono state anche quelle per il “disco italiano dell’anno”, la “formazione italiana dell’anno”….). Ma d’Andrea non sembra avere nessuna intenzione di riposare sugli allori, e a 78 anni mostra un entusiasmo per la sperimentazione da far invidia a tanti musicisti molto più giovani di lui. Quella di questo trio è una musica aperta, che si fa in tempo reale, non rifinita, volutamente non risolta, inquieta, problematica. Terragnoli interviene in maniera sottile con la chitarra, ed evita qualsiasi banalità nel ricorso ai ritmi elettronici. Cisilino è bravissimo nel giocare, con ampio ricorso alle sordine, con quella tavolozza di colori che per D’Andrea è una grande eredità, non sufficientemente valutata, del jazz tradizionale. I brani nascono da un’improvvisazione che si sviluppa lì, sul palco, basata sulla confidenza tra i musicisti ma in maniera non preordinata: e uno standard di un secolo fa è materia viva, che può funzionare da spunto per un’improvvisazione libera e pienamente contemporanea.

PRIMA di D’Andrea al Teatro Comunale si è esibita brevemente Federica Michisanti con il suo Horn Trio, anche questo un trio di formato non scontato, con il contrabbasso della musicista romana, la tromba di Francesco Lento e il sax tenore di Francesco Bigoni. Nella vittoria di Michisanti come “nuovo talento italiano dell’anno” ha contato non solo la valutazione della strumentista ma anche delle sue qualità e idee come leader: in questo trio c’è un approccio compositivo che ragiona in maniera organica sull’insieme della musica, e che si traduce in una densità non convenzionale animata da una pulsazione intensa; e c’è l’entusiasmo, la freschezza – dove sembra di sentire riecheggiare la felicità del primo Coleman – di giovani che vogliono trovare una strada propria.

IN CHIUSURA della serata la Lydian Sound Orchestra di Riccardo Brazzale – direttore artistico di Vicenza Jazz – “migliore formazione italiana”, con ospite il trombettista afroamericano Ambrose Akinmusire, vincitore per il “migliore disco internazionale”: la Lydian è un caso miracoloso di compagine che esiste da ben trent’anni, che riunisce eccellenti musicisti, come Paolo Birro al pianoforte e Robert Bonisolo al sax tenore e soprano per citarne solo due, e che coniuga un alto livello di elaborazione orchestrale con una appassionata meditazione di momenti alti della vicenda del jazz così come di temi contemporanei: in una esibizione brillante, l’orchestra ha interpretato con slancio brani di Monk, di Ellington, di Max Roach/Abbey Lincoln, così come originali dal nuovo progetto Mare 1519.

LA SERA successiva a quella dedicata al Top Jazz, un’altra serata ha avuto come protagonisti Michel Portal, clarinetto basso, Enrico Rava, flicorno, Ernnst Reijseger, violoncello, Andrew Cyrille, batteria: quattro personalità di tutto rilievo, che il festival, con una scelta abbastanza arrischiata già sulla carta, ha voluto riunire in un quartetto inedito, e per di più i musicisti sono saliti sul palco senza alcuna prova. Ma nella impagabile cornice del Teatro Olimpico il pubblico più che notare il carattere piuttosto disorganico dell’improvvisazione è parso apprezzare l’estemporaneità e il clima festoso, in una delle ultime serate del festival, di questa combinazione.

 

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