Accuse e smentite, proclami di vittoria dell’una e dell’altra parte. L’unica certezza dopo una giornata di tensione e di duri combattimenti terra-cielo, è che la guerra tra Israele e il fronte alleato Siria-Iran-Hezbollah ormai è dietro l’angolo. Ciò che al quale abbiamo assistito ieri è la prova generale di questo nuovo conflitto. O forse è la prima fase di un’offensiva israeliana congelata sul nascere da Vladimir Putin, grande arbitro nella regione, con la promessa di contenere la presenza iraniana in Siria. Non è passato inosservato che il comandante dell’Aeronautica israeliana, Tomer Bar, abbia affermato che l’offensiva aerea di ieri «è stata il più grande e significativo attacco contro le difese aeree siriane» dal 1982, durante l’invasione del Libano. E un Paese sul punto di attaccare deve prima distruggere le difese antiaeree dell’avversario.

Un ultimo avvertimento, in poche parole, al quale il governo Netanyahu ha fatto seguire la richiesta alla Russia di intervenire. In quello stesso momento i media israeliani ricordavano che lo scorso 29 gennaio il primo ministro aveva nuovamente chiesto a Putin di prendere atto del rifiuto israeliano del consolidamento delle postazioni di forze iraniane in Siria. A Israele non basta più il via libera avuto da Mosca a continuare indisturbato le sue intermittenti incursioni aeree contro la Siria. Vuole di più. E per quanto si dica «profondamente preoccupata» per gli ultimi sviluppi e chieda il rispetto della «sovranità e integrità territoriale della Siria», la Russia non può ignorare le pressioni israeliane, almeno non del tutto. E l’escalation di ieri ha probabilmente avuto lo scopo di rendere chiaro che se Mosca non farà in modo di modificare la situazione sul terreno, allora Israele userà il massimo della forza. Tuttavia ieri sera, un’analisi del quotidiano di Tel Aviv Haaretz, faceva notare che Israele vorrebbe imporre “linee rosse” per limitare l’influenza dell’Iran e di Hezbollah in Siria, ma è Putin a guidare il gioco. «Per ora la Russia non permette all’Iran di stabilire grandi basi in Siria o di avvicinarsi troppo al confine del Golan con Israele. Ma ciò non significa che l’Iran lascerà la Siria», ha scritto Haaretz aggiungendo che fino a quando Mosca avrà bisogno degli iraniani non accoglierà le richieste israeliane di cacciarli.

L’escalation militare è cominciata intorno alle 3.30 locali quando, secondo la versione israeliana, un drone di fabbricazione iraniana è stato intercettato e abbattuto da un elicottero a sud del Lago di Tiberiade dopo essere rimasto per circa un minuto e mezzo nello spazio aereo israeliano. Subito dopo l’aviazione dello Stato ebraico ha colpito una base vicino Palmira da dove sarebbe decollato il drone. La difesa antiaerea siriana ha aperto il fuoco contro gli otto velivoli israeliani e ha (o avrebbe) colpito un F-16 israeliano che si è schiantato in una zona disabitata nel nord della Galilea. I due piloti si sono lanciati con il paracadute (uno è rimasto ferito seriamente). Le forze armate siriane e l’Iran però negano categoricamente che il drone sia entrato nello spazio aereo israeliano e insistono che il velivolo senza pilota stava operando contro lo Stato Islamico nel Golan. Il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Bahram Ghassemi, ha detto che l’annuncio di Israele di aver abbattuto un drone iraniano è ridicolo e non può essere preso neanche in considerazione. Ghassemi, ricordando che la Siria ha il diritto di difendere la sua integrità territoriale e di rispondere a qualsiasi aggressione, ha aggiunto che «Israele non può accusare gli altri per continuare le sue aggressioni e i suoi crimini». E mentre le agenzie di stampa, una italiana in modo particolare – in contrasto con le risoluzioni internazionali -, definivano le Alture del Golan un «territorio rivendicato dalla Siria», Damasco ha ricordato che quel «territorio» è siriano ed occupato da Israele più di 50 anni fa.

Israele, dopo la perdita dell’F-16 – da decenni non veniva abbattuto un aereo da combattimento israeliano -, ha lanciato tre ondate di attacchi, prima contro 12 postazioni militari, poi su altri obiettivi intorno a Damasco e nel sud del Paese. I raid sono andati avanti per ore e il boato delle esplosioni si è sentito forte anche a Damasco. Almeno tre i siriani morti, più alcuni feriti. Ieri era attesa a Tel Aviv una riunione dei vertici delle forze armate, con Netanyahu, il ministro della difesa Lieberman e il capo di stato maggiore Eisenkot, per fare il punto della situazione e decire eventuali nuovo attacchi. Per il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Damasco e Tehran, l’abbattimento di un caccia israeliano da parte della contraerea siriana segna «l’inizio di una nuova fase strategica», ossia «la caduta del vecchio equilibrio» nella regione e «mette fine allo sfruttamento dello spazio aereo e terrestre siriano».