Ad aprire il fuoco, di primo mattino, è il Corriere della Sera con un editoriale di fuoco contro il voto in autunno. La testata concorrente, Repubblica, cannoneggia senza posa già da giorni. Nel Palazzo il primo a cogliere l’occasione è Angelino Alfano.

Nel durissimo faccia a faccia con Renzi della sera precedente il ministro degli Esteri ha verificato che sulla soglia di sbarramento al 5% il segretario del Pd è irremovibile e conta su uno schieramento a sostegno tanto vasto da non lasciare spazio alcuno.

Quindi l’ex delfino di Berlusconi sposta lo scontro su un terreno più favorevole, quello appunto della data delle elezioni: «L’impazienza di Renzi rischia di costare miliardi al Paese. Il Pd si renda conto del danno che con la sua impazienza rischia di fare all’economia». Poche ore e sullo stesso tasto martelleranno i 31 senatori Pd ribelli. Cercare il voto a ottobre «rischiando l’esercizio provvisorio di bilancio» vorrebbe dire «assumersi la gravissima responsabilità di un salto nel buio».

Non è questione di votare pochi mesi prima o dopo, ma di quel che in quei pochi mesi va approvato, cioè la legge di bilancio forse più delicata e a rischio degli ultimi anni. Il governo, chiamato così direttamente in causa, sceglie la massima circospezione. Gentiloni usa una formula doverosamente rassicurante che non crea frizioni col segretario: «Il governo è nella pienezza dei poteri e manterrà gli impegni». Il ministro dell’Economia Padoan è meno tranquillo: «È difficile fare cambiamenti sotto cicli elettorali».
I «cambiamenti» in questione sono quelle riforme chieste nero su bianco dall’Europa, senza il completamento delle quali ottenere flessibilità non sarà uno scherzo. L’altro ministro tecnico, Carlo Calenda, è reduce da un colloquio telefonico pacificatore con Renzi dopo mesi di schermaglie e reciproci dispetti. Un minimo di disgelo c’è, ma sulla data delle elezioni Calenda resta più che ostile all’accelerazione. Un po’ paradossalmente il solo messaggio davvero rassicurante arriva proprio da Bruxelles, col commissario all’Economia Moscovici che spalleggia Renzi: «Le elezioni non sono mai un problema».

In realtà il problema c’è eccome. Renzi, Padoan e Gentiloni lavorano da giorni a una road map in grado almeno di stemperarlo. Si tratterebbe di posticipare per decreto di tre mesi l’aumento dell’Iva, che in base alla clausola di salvaguardia dovrebbe scattare il primo gennaio. In estate il governo in carica preporrebbe il testo della legge di bilancio e lo presenterebbe prima di decadere, con tanto di misure tali da impedire l’aumento dell’Iva.

A votare la legge sarebbe però il prossimo Parlamento e a gestire l’esplosiva faccenda dovrebbe essere il prossimo governo. Essendo se non certo almeno probabile che dopo le elezioni il Pd dovrà allearsi con Forza Italia, sia pur non ufficialmente la manovra dovrebbe quindi godere almeno del beneplacito azzurro, pena il dover ripartire da zero alla fine dell’anno o addirittura all’inizio del prossimo.

È un percorso ad alto rischio. Anche se tutti lo negano, la minaccia dell’esercizio provvisorio è concreta. Una manovra da una trentina di miliardi almeno, preparata da un governo che è espressione di una maggioranza parlamentare ma destinata a essere approvata da un nuovo Parlamento di composizione tutta diversa, è un grosso azzardo. La partita sull’aumento dell’Iva è delicatissima per definizione e lo sarà tanto più dovendo trattare con Fi, che del fisco ha sempre fatto il proprio cavallo di battaglia. Ma soprattutto, anche se tutto andasse per il meglio, l’Italia resterebbe per mesi esposta agli attacchi della speculazione. Però separare il voto in ottobre dalla possibilità di approvare una legge elettorale davvero condivisa è impossibile.
Lo è perché Renzi accetta una legge che non ama solo per votare presto ma lo è anche perché gli attacchi concentrici di ieri prendono di mira la data delle elezioni con l’intento palese di affossare la legge proporzionale e tornare al maggioritario.

Il capo dello Stato è ben consapevole dei pericoli ma lo è anche della strumentalità della polemica. Se cercherà di incidere sulla data del voto lo farà solo dopo aver messo al riparo l’approvazione della legge.