La tregua per l’Eid al Adha, la festa del sacrificio, ha retto, ha scricchiolato fortemente, ma ha retto almeno fino a ieri sera. Domenica, il giorno vero e proprio della festa, è stato il giorno più duro. A mettere alla prova i nervi tesi da oltre quattro mesi di scontri armati senza soluzione di continuità sono state due serie di razzi sparati dentro l’aeroporto internazionale di Mitiga a Tripoli, tanto che il traffico aereo è stato temporaneamente sospeso, come del resto è accaduto spesso nelle ultime settimane.

CHI HA MESSO A RISCHIO la tregua proposta e monitorata dalla missione Unsmil e sottoscritta ufficialmente tra venerdi notte e sabato tanto dal governo Serraj quanto dal generale Haftar? Il governo di accordo nazionale di Serraj ha dato la colpa al generale cirenaico che dal 4 marzo ha lanciato l’offensiva sulla capitale per «liberarla» dalle milizie e dai «terroristi», leggi dal potere condizionante dei Fratelli musulmani.

E molti giornali hanno dato fiducia a questa pista, essendo il governo nato dall’accordo di Shkirat nel 2015 ufficialmente appoggiato dalla comunità internazionale. La realtà attuale della Libia è molto più ingarbugliata e a ben vedere è piuttosto improbabile che l’Esercito nazionale libico (Lna) al comando di Haftar abbia rotto il patto appena sottoscritto per lanciare qualche colpo di mortaio sulle piste dell’aeroporto di Mitiga.

È assai più credibile che – come del resto riporta il sito di analisi geopolitiche Libya Desk – la provocazione sia stata messa in atta dai miliziani della Brigata Al Samud agli ordini del misuratino Salah Badi – già accusato di crimini di guerra per le atrocità commesse nel 2014 durante la battaglia intorno al vecchio aeroporto di Tripoli sempre contro l’operazione Dignità di Haftar.

Salah Badi del resto si è dissociato preventivamente dalla tregua dell’Eid e comunque non ha mai accettato di prendere ordini dal governo Serraj, pur partecipando insieme agli altri miliziani e ai gruppi armati di Misurata alle forze della difesa di Tripoli riunite intorno all’operazione «Vulcano di rabbia». E probabilmente l’accusa lanciata nel campo opposto da parte del governo di Serraj è stata più che altro una sconfessione dell’operato di Badi, quindi da leggere come una conferma della tregua.

UN ALTRO ABBAGLIO è quello che si è consumato nel deserto del Fezzan, dove proprio domenica, sfruttando la pausa nei combattimenti intorno alla capitale, la 73° Brigata di fanteria dell’Lna è entrata nella città di Murzuq, dove la domenica precedente era stata consumata una strage di 43 persone appartenenti all’etnia Tebu e su cui inizialmente sono state fornite versioni molto discordanti, tanto che la missione Unsmil ha aperto un’inchiesta per crimini di guerra davanti al tribunale dell’Aja.

LA VERSIONE DI HAFTAR è che i 43 morti siano stati colpiti da raid dell’aviazione cirenaica ma che non si tratti di civili, quanto piuttosto di ribelli ciadiani utilizzati come «mercenari» dai Tebu in contrasto con i residenti arabi di Murzuq. E ieri la fanteria ha fatto prigionieri altri 27 miliziani dell’opposizione al presidente del Ciad Idriss Déby, alleato di Haftar. Murzuq è un’enclave instabile a una ventina di chilometri dalla capitale del Fezzan, Sebha, e lì sorge il più grande campo petrolifero della Libia: Sharara.

E proprio il campo di Sharara a fine luglio ha subìto una manomissione – accreditata come «guasto ad una valvola» – che ha costretto la compagnia Noc a interrompere temporaneamente il gasdotto verso il terminal costiero di Zawiya.

Un’altra possibile manomissione, questa volta alla grande conduttura, da una settimana sta creando gravi disagi nell’erogazione di acqua nella capitale, tanto che ieri il governo Serraj ha fatto appello «ai dignitari e alle tribù del Sud» perché riaprono la valvola del Grande fiume. Paradossalmente l’operazione di riprendere il controllo del Fezzan da parte di Haftar può riportare l’erogazione del servizio idrico.

Gli imam di Badi Walid e Tobruk domenica hanno guidato preghiere per nuovi negoziati di pace, una scintilla di speranza.