Ore 16.58 di ieri, il silenzio è calato su via D’Amelio a Palermo, nell’ora esatta in cui nel 1992 saltò in aria la 126 carica di esplosivo che uccise Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Antonino Vullo, unico poliziotto sopravvissuto alla strage, ha letto i nomi delle vittime: Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Intorno gli attivisti alzavano al cielo le agende rosse, simili a quella del magistrato fatta sparire il pomeriggio stesso dell’attentato.

A rendere più cupo il trentennale ci ha pensato la sentenza della scorsa settimana del tribunale di Caltanissetta nel processo per il depistaggio organizzato con il falso pentito Scarantino. Depistaggio definito dal procuratore Salvatore De Luca «gigantesco e inaudito che ha coperto alleanze mafiose di alto livello». Un’operazione di inquinamento della verità che, come ripete l’ex pg di Palermo Roberto Scarpinato, non si è conclusa ma continua.

La sentenza del 12 luglio ha stabilito un’assoluzione e due prescrizioni: il reato c’è stato per due imputati ma senza l’aggravante mafiosa. Il presidente della Repubblica Mattarella ieri ha sottolineato: «Il ricordo di Borsellino impone di guardare alla realtà con spirito di verità. Quell’anelito di verità che è indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini, consentendo così al Paese di fare luce sul proprio passato».

Il fratello del giudice, Salvatore Borsellino (in collegamento da casa causa Covid), e le Agende rosse hanno voluto che risuonassero le note del Silenzio senza passerelle dei politici. Il neo sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, dopo aver disertato le commemorazioni di Capaci, si è presentato in via D’Amelio ma le Agende rosse gli hanno voltato le spalle: «È stato il nostro malvenuto». Gli contestano i legami politici con l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex governatore Totò Cuffaro.