«Adesso sono mie, tutte insieme e formano il più bell’ornamento del mondo… fasto, magnificenza ovunque nobiltà: surtout, surtout, surtout!». Il 10 settembre 1777 scriveva così Caterina II di Russia al suo consigliere, il Barone Grimm, e dalle sue parole trapela l’entusiasmo della collezionista rapace che è riuscita ad aggiudicarsi qualcosa di molto ambito e prezioso.

L’oggetto del desiderio era un deser (centro tavola) venduto nel 1777 alla Zarina dal Balì di Breteuil, ambasciatore di Malta a Roma che a sua volta l’aveva adocchiato e acquistato per l’imponente cifra di 50mila scudi nella bottega dei Valadier, in via del Babuino. Ad alcuni deser e a molti altri oggetti d’arredo si riferiscono i disegni dei Valadier esposti a Roma al Museo Napoleonico (I Valadier. L’Album di disegni del Museo Napoleonico, visitabile fino al 3 maggio).

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La mostra, a cura di Giulia Gorgone, presenta ottanta fogli tratti dall’Album del Museo Napoleonico, importante nucleo di oltre cento acquerelli e disegni realizzati nella bottega orafa dei Valadier, acquistato nel 1932 dall’antiquario romano Castagnari. Insieme all’altro, conservato nella Pinacoteca di Faenza (e ne esisteva un terzo a Londra, ora disperso), l’Album testimonia quanta cura fosse stata riposta fin da subito nel contenere, rilegare e preservare la produzione della bottega dei Valadier.

E come sovente accade in questo segmento di storia dell’arte, così importante e inesauribile nella sua vastità, Alvar Gonzalez Palacios, curatore del catalogo e massimo esperto in tema di arti decorative europee, ritrova connessioni perdute fra disegni e oggetti, in un percorso che porta dalla Spagna all’Inghilterra di Syon House o di Waddesdon Manor alla Russia di Caterina II alla Svezia.

Tutto parte però da Roma (che oggi, come causticamente sottolinea lo studioso, nonostante tutto sopravvive a se stessa) e dalla deflagrante diffusione del gusto per l’antico che nel XVIII secolo trova nei Valadier alcuni fra gli interpreti più preziosi.

Desideravano, i regnanti, avere, su tavole sontuosamente imbandite e descritte per esempio da Vincenzo Corrado ne Il cuoco galante (1773), la riproduzione in miniatura di tanti monumenti dell’antichità assieme a una quantità di oggetti ed elementi di arredo.
I deser trionfavano così al centro dei banchetti: frammenti di città ideali in misura ridotta, piccole piazze o musei virtuali dove le colonne del Tempio di Flora erano impiallacciate di lapislazzuli, quelle del Tempietto di Minerva di plasma di smeraldo mentre l’Arco di Traiano si trovava a essere rivestito di diaspro verde screziato di giallo, di verde Corsica, di porfido e ancora di lapislazzuli: preziosissime riduzioni di architetture antiche.

L’esposizione illustra la genesi di tanta complessità, ossia quella mole di disegni, progetti, proposte con varianti, rendering dei diversi tipi di rivestimento in pietra preziosa tramite un fine e sapientissimo uso della penna e dell’acquerello, insomma quella fase intermedia indispensabile al raggiungimento finale, l’oggetto nella sua versione definitiva. L’antico, dunque, ancora una volta fonte inesauribile di ispirazione, ma rivisitato e impreziosito grazie alle potenzialità delle dimensioni ridotte.
Il raffronto puntuale con riproduzioni fotografiche degli oggetti cui i disegni si riferiscono porta il visitatore a una sorta di verifica su quale versione, e con che varianti, alla fine fosse stata scelta. Vale per gli elementi dei deser, ma anche per alcuni raffinati disegni di orologi da tavola con Atlante ora riferiti con certezza all’orologio conservato a Waddesdon Manor in Inghilterra.

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Nei progetti di montatura in metallo dorato per un recipiente in porcellana è ancora più evidente il funzionamento del procedimento creativo: una base centrale – quella del contenitore in porcellana del genere zuppiera con al centro sempre lo stesso motivo del «leone giallo» (ancora presente nelle produzione di Meissen) – e poi tante versioni differenti fra loro per le anse a forma di cigno o di testa d’ariete o di mascheroni con volute nascenti dalla fronte o di sirena o di protome femminile alata.

Luigi Valadier attingeva con disinvoltura anche al passato recente: una riduzione del Mercurio di Giambologna diventa, nelle sue mani, un candelabro da realizzare in bronzo dorato e marmi colorati e i puttini scherzosi che giocano con la capra di Duquesnoy il Fiammingo vengono incastonati in un vaso pensato per un marmo scuro in cui risaltino tanti dettagli chiari.

Sempre presenti e disseminati nei fogli i delicati tocchi di acquerello, là dove c’è da alleggerire il bronzo con piccoli tulipani, spighe, garofanini rosa e una campanula azzurra, con memoria di quelli straordinari realizzati in bronzo dal Valadier per il salone d’oro di Palazzo Chigi: un mazzetto di fiori quasi campagnolo che spunta alla sommità del vaso e la leggera oscillazione del fumo delle candele accese mosso dal vento. Dettagli che vivificano e addolciscono la concretezza di fondo dei progetti.