Taranto anni ’70. Sara e Sebastiano vivono il loro amore all’ombra del colosso dell’acciaieria Iltalsider e tra le pagine del quotidiano Lotta Continua che accompagna, giorno dopo giorno, le lotte contro lo sfruttamento degli operai nelle fabbriche e i caduti sul lavoro. Tra i tumulti e le proteste nelle strade di Taranto, Sara e Sebastiano attendono l’attimo, l’ora X del cambiamento. Tra passato e presente Erri De Luca e Cosimo Damiano Damato raccontano le lotte degli operai e quei movimenti che hanno segnato un periodo importante per la Storia italiana e la città di Taranto. Un racconto che si fa testimonianza e da cui emerge l’immagine di una città profondamente ferita da un progresso decantato e da un sistema economico che erode il territorio e la vita stessa dei cittadini. Le voci dei manifestanti accolti allora dal quotidiano Lotta continua, organo della sinistra extraparlamentare italiana attiva tra la fine degli anni sessanta e la prima metà dei settanta, attraversano il tempo e si scontrano ancora oggi con una situazione complessa come quella dell’ex Ilva, ora ArcelorMittal. La storia dei personaggi, le strade e le case di Taranto trovano corpo nelle illustrazioni di Paolo Castaldi che ha accompagnato i due scrittori nella memoria di Lotta Continua e nella realizzazione del graphic novel L’ora X pubblicata da Feltrinelli Editore.

Da quale pensiero o momento nasce l’idea di questo progetto? Come avete lavorato sul testo?
E: A novembre del 1969, cinquant’anni fa, usciva il primo numero del giornale Lotta Continua, organo del movimento rivoluzionario al quale ho partecipato. Con Cosimo un anno fa, ragionando della ricorrenza, abbiamo pensato a un modo di mescolare passato e presente, come se quel giornale e quelle idee fossero ancora circolanti. Abbiamo scritto una sceneggiatura, immaginavamo un film. Feltrinelli mi chiese una storia per la sua collana di fumetti e gli abbiamo presentato L’Ora X.
C: L’idea era di raccontare la storia di Lotta Continua con lo sguardo di due ragazzi di oggi perché aprendo un qualsiasi numero del giornale, sembra di leggere la cronaca attuale. Se osservi gli slogan, le azioni degli studenti che hanno lottano con i lavoratori, ritrovi gli stessi problemi di oggi. L’altro tema del libro è la storia d’amore tra Sara e Sebastiano dove ritrovi tutti i temi del rapporto e della parità mai riconosciuta tra umo e donna; e secondo me non c’è nulla di più rivoluzionario di una storia d’amore.

Il graphic novel ripercorre la storia, i problemi e le contraddizioni dell’ex Ilva di Taranto durante gli anni ’70 attraverso due ragazzi di Lotta Continua, perché avete scelto questa prospettiva narrativa considerando soprattutto il panorama socio-culturale e quindi politico odierno?
E: Taranto è la città ideale a causa della presenza della stessa grande siderurgia di allora. Lotta Continua esisteva a Taranto in quella fabbrica e nella città. I guasti scaricati sulla popolazione, sul mare, sull’ambiente, mantengono la stessa costante nocività inaugurata allora. Taranto porta sulle spalle il peso del disprezzo per la salute pubblica sottomessa all’interesse del profitto. Per noi è una città bandiera.
C: Aveva più senso ambientare la storia lì perché in quegli anni c’era tutto un movimento per i diritti dei lavoratori, la rabbia per i problemi legati al territorio come la morte dei pesci, lo sradicamento degli ulivi. Tutto era già stato scritto, avevano già previsto tutto e non sono stati anni leggeri. C’era uno scontro fisico, una repressione molto forte da parte dello Stato, ma contemporaneamente un’energia incredibile. Come dice Erri, scherzando, erano più che altro «anni di rame» proprio per la conduzione di energia che c’era nei movimenti. Allora c’erano gli artisti come Mario Schifano che regalavano le proprie opere a Lotta Continua per finanziare la stampa del quotidiano, oppure c’erano molti intellettuali che prestavano il loro nome, per esempio Pasolini, per far uscire il giornale o condividevano le lotte e il senso di libertà.
La costruzione dell’impianto Ilva nel 1965, come anche il lavoro massiccio d’industrializzazione a Brindisi nel 1964, trasforma profondamente il paesaggio e i luoghi del sud Italia, incidendo negativamente sull’ambiente e quindi sull’economia agricola e ittica, caratteristiche proprie del territorio.

Questi due mondi economici, la siderurgia e l’agricoltura, in che modo possono coesistere?
E: Il modello era la grande industria fatta piovere dall’alto a sovrapporsi all’agricoltura, alla pesca, al turismo. Contadini, pescatori entravano nel recinto meccanizzato del progresso. Era il posto fisso, il salario sicuro, pagato in nocività, accidenti mortali sul lavoro. Oggi come allora il lavoro operaio comporta rischi e conseguenze micidiali in uccisi e feriti, quote fisse di decimazione. La rendita della bellezza delle coste meridionali è stata perduta e sacrificata alle grandi lavorazioni siderurgiche, petrolchimiche. Si chiamavano allora cattedrali nel deserto, perché non producevano altra industrializzazione. Ma era una definizione odiosa: quegli impianti non erano monumenti e il posto dove s’innalzavano non era un deserto. Lo è diventato dopo a causa delle emissioni e degli scarichi tossici.
C: Le tavole del graphic novel in cui è rappresentato l’abbattimento degli ulivi, s’ispirano a un video di propaganda a favore della nascita dell’Italsider e dell’abbandono, finalmente, della cultura contadina come se fosse qualcosa di medievale, quando invece è tutto il contrario.

«L’ora X» esce in un momento decisivo per l’ex Ilva di Taranto, cosa pensate degli ultimi sviluppi e che peso potrebbe avere per la città di Taranto e per l’Italia una probabile chiusura della fabbrica?
E: Credo che l’acquirente attuale sia interessato a chiudere gli impianti come sta facendo in Sudafrica, per sua strategia globale. Ho visto chiudere l’Italsider di Bagnoli senza che Napoli andasse in rovina. Il futuro della città di Taranto non sarà una siderurgia a impatto zero, ma il risanamento e il risarcimento dei danni.
C: Non si doveva arrivare a questa situazione e soprattutto non bisognava aspettare che fossero altri a innescare un meccanismo che potrebbe portare alla chiusura della fabbrica, ma doveva occuparsene lo Stato mettendo in atto un piano per salvare il territorio e gli operai. I lavoratori possono essere impiegati nelle bonifiche, nel recupero del territorio, e nella conversione della fabbrica che può essere impiegata per altre cose; è come l’immagine di lupo che cura le proprie ferite. È ovvio che ci voglia un intervento serio da parte dello Stato, cosa che non è mai accaduta.