Quarantasettesima edizione per il Tampere Teatro Festival, che per l’intera scorsa settimana ha portato nella città finlandese le nuove produzioni nazionali indipendenti, e di diversi altri paesi europei. Figlio della felice stagione sessantottina, il Tampereen Teatterikesä è considerato uno dei maggiori appuntamenti con la scena contemporanea dei paesi nordici e scandinavi. Centottanta chilometri a nord di Helsinki, a queste latitudini il sole – ancora nella prima decade di agosto – indugia all’orizzonte e la notte stenta ad arrivare – è buio solo per un paio d’ore! A Tampere il festival è per tutti, l’intera cittadinanza sembra prenderne parte, con una netta maggioranza di donne over 70. Bella sorpresa per noi che siamo abituati a frequentare festival pieni solo di giovani artisti (in cerca di lavoro) in un asfittico circolo vizioso.

Una città di tradizione operaia, in cui svettano, anche nel centro, alte ciminiere, retaggio di un’archeologia industriale ora riconvertita in luoghi di cultura o residenziali. L’antico color mattone, affiancato dalle trasparenze dei nuovi edifici, si specchiano insieme nei suoi laghi, creando landscape di grande effetto visivo, quel legno caldo delle case tradizionali è combinato con la lucentezza metallica dell’architettura contemporanea, simbolo di una città in continuo cambiamento, dove ancora però resiste il vecchio Museo di Lenin, proprio al piano superiore della sala in cui è allestito Belfast boy, lo spettacolo irlandese che inaugura l’edizione 2015. Con le sue serate infinite la città è piena di eventi, la programmazione è fitta e non c’è pausa pranzo a rallentarne il ritmo, qui si va in scena anche alle 13:30 Nessun paragone con il nostro sonnolento Stivale i cui festival estivi se propongono due spettacoli in parallelo scontentano mezzo pubblico.

A Tampere, le parole chiave del Teatterikesä 2015 sono appartenenza e collegamento, declinate in una serie di variazioni che mostrano quanto sia difficile la comprensione dell’altro pur nella condivisione di uno spazio e un tempo, ossia nella comunità cui apparteniamo o, peggio, nella nostra stessa famiglia. E le difficoltà a trovare una propria soggettiva collocazione in una società pullulante di condizionamenti.
Scelti da Kaarina Hazard, Mikko Kanninen e Mikko Roiha (il team artistico) con Hanna Rosendahl (direttrice esecutiva), gli spettacoli che abbiamo visto affondano il coltello nelle ferite giovanili, dal già citato ragazzo di Belfast, Martin, che per un’intera ora ci narra la sua storia di danzatore sofferente di insonnia.

Ce la racconta nell’ormai consumata forma del monologo e non ci appassiona, nonostante le sue capacità performatiche e i giochi con l’immancabile sedia. Scritto e diretto da Kat Woods, il lavoro è striato di comicità tanto è eccessiva la sequela di accadimenti che Martin/Declan Perring racconterebbe al suo terapista con una velocità doppia rispetto a un parlare quotidiano, aumentando così il distacco dalla scena. Più coinvolgente è il duetto finlandese di Tänään koulun jälkeen (Today after school), breve, icastico nel linguaggio (abbiamo chiesto la traduzione di alcuni passaggi) e nelle azioni per ricostruire una feroce vicenda di bullismo, diretta da Eino Saari che ne è anche autore insieme a uno degli interpreti, Janne Kinnunen (l’altro in scena con la sua presenza «mostruosa» è il giovane Matias Nieminen). Alimentato dagli autori, alla fine si scatena in sala il dibattito.

Dopo Jotain toista (Something else), una serie di quadri, forse troppo ripetitivi, incentrati sul desiderio (lesbo), con autrice e regista in scena in veste di narratrice, Milja Sarkola, considerata una delle più originali giovani donne di teatro finlandesi, si torna al bullismo, questa volta cyber. Un’altra storia, quella di Megan (Meganin tarina), del Turun Kaupunginteatteri, che ha messo in scena il suicidio di una tredicenne statunitense, scritto da Tuomas Timonen, vittima di persecuzioni sui social media.
Didascalico e forse con qualche ingenuità, ma godibile nella ricerca di rendere colorato e fruibile a giovani spettatori quel suo grido contro l’ingiustizia anche legislativa.