«Siamo entrati (nell’europarlamento, ndr) perché nessuno è venuto ad ascoltarci, siamo qui da tre settimane», sono le parole concitate al manifesto di Saysuren. Insieme ad altri cento compagni kurdi è in sciopero della fame perché «a Kobane (città del Kurdistan siriano sotto assedio dello Stato islamico) è in corso un massacro». Sono sempre più numerosi i kurdi accampati alle porte del parlamento europeo di Bruxelles.

E lo scorso martedì erano tantissimi, hanno oltrepassato le porte e occupato il cortile interno. «Scene impressionanti», raccontano gli inservienti. «All’ingresso le guardie hanno tentato di fermarci ma abbiamo assicurato che saremmo rimasti lì pacificamente», continua Saysuren. Tra le bandiere gialle con il volto del leader Abdullah Ocalan, si respira rabbia contro il governo turco. «Polizia e soldati turchi appoggiano l’Isis, massacrano bambini e civili kurdi», si sfoga la donna.

Hakan Cifci, esponente del Comitato per gli Affari esteri del Congresso nazionale kurdo (ombrello di partiti kurdi in Turchia, Siria, Iran e Iraq) aggiunge: «L’Unione europea non fa pressione sufficiente sulla Turchia perché difenda i kurdi». Secondo Hakan, l’Isis ha armi molto più sofisticate. «Contro le armi pesanti dell’Isis, gli abitanti di Kobane rispondono con i kalashnikov», aggiunge. «I nostri compagni kurdi siriani ci raccontano che gli sheikh locali nei loro sermoni asseriscono che i kurdi non sono musulmani e possono essere massacrati, non possiamo tacere». Secondo l’attivista, nelle montagne di Sinjar sono state massacrate nelle ultime settimane tremila persone e altrettante catturate e vendute come schiave. «Crediamo che anche i peshmerga iracheni siano sotto la pressione turca. Hanno un rapporto privilegiato con gli Stati uniti e si avvantaggiano di accordi economici e vendita del petrolio».

Secondo Hakan, alle Unità di protezione del popolo kurdo (Ypg) non sono arrivate armi. «I peshmerga non riconoscono la rivoluzione di Rojava (il Kurdistan siriano). Nell’attacco a Sinjar, è stato dato ordine ai peshmerga di ritirarsi, non difendere i kurdi siriani, di non attaccare l’Isis». Secondo Hankan la vera ragione per cui Turchia e Usa non sostengono il Ypg è per il legame privilegiato che i kurdi siriani hanno con il partito dei lavoratori kurdi (Pkk). «Temono il Pkk, un vero movimento rivoluzionario, perché vorrebbe creare una società democratica ma questo non è nell’interesse dell’Occidente», conclude.

La regione autonoma di Rojava è uno dei più straordinari esempi del principio dell’autonomia democratica, teorizzata da Ocalan. Nella «repubblica di Rojava» sono state create assemblee popolari. I consigli locali sono formati con attenzione alla ripartizione etnica (i tre leader di ogni municipalità devono includere un kurdo, un arabo e un assiro o cristiano armeno), uno dei tre deve essere una donna. Questo è avvenuto grazie alla stretta cooperazione tra Pkk, movimento marxista che la Nato classifica come organizzazione «terroristica», e il Partito democratico unito (Pyd).

Il Pkk chiede ai kurdi di creare comunità libere, di auto-governo, basate sul principio di democrazia diretta. La battaglia dei kurdi non è per uno stato indipendente ma per creare un modello globale per un processo di democratizzazione dello stato. Per questo, dal 2005, ispirato dagli zapatisti del Chapas, il Pkk ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale con il governo turco.