«Nella maggior parte delle regioni italiane le scuole superiori hanno riaperto, ma in condizioni drammatiche per la sicurezza di studenti e lavoratori, con le classi pollaio, i trasporti sovraffollati e con l’assenza di un adeguato tracciamento dei contagi».

È la denuncia che ha portato ieri alla mobilitazione degli studenti in più di 20 città italiane da Roma a Torino, passando per Milano e Catania. «La Didattica a distanza non è la soluzione a questa situazione in quanto aumenta le barriere per il diritto allo studio penalizzando i giovani delle periferie e delle classi popolari come indicano i recenti dati IPSOS che segnalano 34 mila studenti tra i 14 e i 18 anni a rischio abbandono. Servono classi da 15 studenti, assumere insegnanti a tempo indeterminato, aumentare gli spazi scolastici, garantire un numero maggiore di mezzi pubblici e un efficace tracciamento dei contagi con accesso diretto e gratuito ai tamponi per studenti e lavoratori della scuola». In altre parole: a scuola sì, ma non così.

La mobilitazione ha aderito allo sciopero generale indetto da SICobas, SlaiCobas e promosso dall’Assemblea dei Lavoratori combattivi. La mobilitazione studentesca è stata promossa dal Fronte della Gioventù Comunista, con l’adesione di diversi collettivi e coordinamenti studenteschi. A Roma un corteo di 500 studenti, docenti e personale Ata ha raggiunto il ministero dell’Istruzione da piazza della Piramide. Erano presenti il Virgilio, Mamiani, Righi, Tasso, ma anche scuole come il De Amicis-Cattaneo, il Morgagni e il Manara, il Kant che ieri ha concluso l’occupazione e le scuole superiori da alcuni comuni dei Castelli Romani.

La mobilitazione annuncia il terzo turno della riapertura delle scuole superiori, ma solo al 50%, di lunedì primo febbraio. Torneranno in classe gli studenti di Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Campania e Sicilia. Già in classe quelli di Toscana, Abruzzo, Valle d’Aosta, Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Molise, Umbria, Lazio, Liguria, Bolzano e Trento. In totale: 1,2 milioni studenti delle superiori, più 144.976 della seconda e terza media in Sicilia.

Nella piattaforma di rivendicazione dei sindacati di basi è rivendicata, tra l’altro, “una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione”; un protocollo per la prevenzione e il contrasto dei contagi da CoVid 19 sui luoghi di lavoro con l’introduzione dell’obbligatorietà dello screening e dei tamponi a tutti i lavoratori; Piano nazionale straordinario di assunzione di infermieri e medici; il rinnovo immediato dei contratti nazionali scaduti, con adeguati aumenti salariali; il salario medio garantito per disoccupati, sottoccupati, precari e cassintegrati”.

La scuola riapre, il governo non c’è più, ma i problemi non sono affatto finiti. Quello principale è l’autonomia differenziata creata dalle regioni in materia di istruzione, e organizzazione della didattica, in base alla situazione epidemiologica, staccata sia dai Dpcm sia spesso dalle zone a colori che governano la situazione in ogni territorio. Questa situazione è stata permessa dal decreto 33/2020 del governo che ha attribuito ai presidenti di regione il potere di varare ordinanze più restrittive dei Dpcm. Tale responsabilità politica, denunciata da settimane da tutte le manifestazioni della scuola, è la maggiore responsabilità politica del governo uscente nel caos che sta facendo a pezzi il diritto allo studio.

Ieri è avvenuto un salto di qualità nella creazione della scuola differenziata. Come abbiamo più volte denunciato su Il Manifesto il modello dell’istruzione à la carte ideato dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, quello che scarica le responsabilità di mandare gli studenti in classe sulle spalle delle famiglie e non sulle autorità, è stato adottato anche dalla regione Campania e dalla Calabria. Dunque il 50% di presenza in classe, alternata con quella a distanza, sarà un sogno. In Puglia l’80% degli studenti resta a casa anche perché sono in pochi a fidarsi del governo, dei prefetti, delle regioni e delle autorità scolastiche che hanno fatto il possibile per garantire una riapertura che non è mai realmente avvenuta e quella che c’è è al buio. Questa catastrofe è dovuta sia all’inesistenza del governo che ha rinunciato a governare la situazione e ha demandato nei fatti alle regioni, sia all’inesistenza di un serio monitoraggio dei dati e di un sistema di tracciamento e medicina territoriale in un luogo, come la scuola, che sarebbe invece utile come “sentinella” per bloccare subito i contagi.

Emiliano ha ammesso di non essere in grado di garantire una sicurezza agli studenti e ha contrapposto il diritto all’istruzione a quello della salute.«A scuola vige l’obbligo di presenza, ma l’obbligo di frequenza durante una pandemia è inconcepibile. Chi pretende di dire ad una famiglia ‘devi portare per forza fisicamente tuo figlio a scuola viola il diritto alla salute previsto dalla Costituzione. Con le nostre ordinanze stiamo tutelando il diritto alla salute di coloro che vogliono rimanere a casa, visto che la scuola, a differenza di altri settori, ha previsto un sistema alternativo che è la didattica a distanza». In pratica sta dicendo che tutti gli altri presidente di regione, e la ministra uscente dell’Istruzione Lucia Azzolina, mettono consapevolmente a rischio gli studenti. Dichiarazioni che faranno “scuola” anche in Campania e Calabria che sono in “zona gialla” e non “arancione” come la Puglia.