In fuga dalla legge marziale, tre musicisti russi della Arkadiy Kots Band, Kirill Medvedev, Nikolaj Oleynikov e Oleg Zhuravlev sono attualmente in Italia in “asilo volontario temporaneo”, come essi stessi definiscono questo distanziamento dal proprio Paese, per evitare l’arruolamento coatto. Si esibiscono e rilasciano interviste, per raccontare il punto di vista rischioso di chi come loro ha disertato la guerra, in questa surreale esperienza al limite tra fuga e tournée. Un poeta, un artista e un sociologo che hanno unito le loro forze nell’attivismo contro Putin fin dal 2010, quando nelle piazze russe imperversavano le manifestazioni contro le frodi elettorali. Oleg Zhuravlev, tastierista e polistrumentista, è un sociologo esperto in proteste di piazza ucraine e russe, su cui ha discusso una tesi di dottorato a Firenze nel 2018; racconta che quando era leader dei movimenti studenteschi a Mosca, contro la corruzione in campo accademico, aveva conosciuto Kirill Medvedev, poeta e chitarrista, fondatore della casa editrice Free Marxist Press e avevano deciso di fondare la band. I testi che Medvedev ha tradotto in russo sono assimilabili a quelle che egli stesso definisce “forme di marxismo non dogmatiche”, e fra i vari autori menziona Pasolini, perché le sue opere rappresentano una “combinazione di temi politici e privati, emotivi del tutto inusuale in Russia” o almeno nella Russia della perestroika e della fase immediatamente successiva, di cui lamenta la profonda “depoliticizzazione sociale”. Una loro interessante traduzione e reinterpretazione musicale è divenuta virale in Russia, L’estaca, canto della resistenza antifranchista, scritto da Lluís Llach in catalano

Anche Nikolaj Oleynikov, artista, performer ed educatore, anima punk del gruppo insiste su questo tema, parlando di “emergenza di tradurre” per contrastare la divisione fra cultura e politica, emblema della stagnazione che precedette le rivolte del 2010. La traduzione è dunque definita come “prassi politica” per ripensare il marxismo in chiave contemporanea e non a caso la Arkady Kots Band, prende il nome da un poeta ebreo e socialista che tradusse in russo l’inno della Seconda Internazionale, composto da Eugèn Pottier.

UNA LORO INTERESSANTE traduzione e reinterpretazione musicale è divenuta virale in Russia, L’estaca, canto della resistenza antifranchista, scritto da Lluís Llach in catalano, nel ’68 in pieno regime. All’epoca era vietato cantarla in pubblico si dovette attendere il ’75, la morte del Caudillo e in seguito quei versi sono entrati nella storia dei movimenti dal basso: “Non vedi il palo/a cui siamo tutti legati?/ […] Se io tiro forte qui/ e tu tiri forte là/ è sicuro che cadrà, cadrà, cadrà/ e potremo liberarci.” Dieci anni dopo, nel ’78, fu tradotta in polacco da Jacek Kaczmarski, divenendo l’inno operaista del sindacato Solidarnosc contro Jaruzelski, con la sostituzione della parola “muro” alla parola “palo”. Ne esiste una versione cantata in tunisino da Emel Mathlouthi, eroina della primavera araba e la versione russa degli Arkady è stata recentemente intonata in piazza contro Lukashenko. A prescindere dal contesto sociale di cui è stato di volta in volta espressione, L’estacha è diventato un canto contro la repressione e l’autoritarismo di qualsiasi colore politico.

LA ARKADY KOTS BAND l’ha cantata in russo in un flashmob in supporto delle Pussy Riot, per la loro prima udienza in tribunale a Mosca. Oleynikov spiega: “Noi iniziammo a cantare la canzone in strada con chitarra e armonica a bocca e immediatamente venne la polizia e noi continuammo a cantare. Ci portarono nella camionetta e noi continuammo anche lì; poi c’era un nostro amico giornalista con la videocamera che di nascosto ci riprese e così quel piccolo video è diventato virale”.

A Roma i tre musicisti sono stati accolti nel centro socio-culturale Ararat, durante le riprese del videoclip di Courage, canzone del gruppo rap Assalti Frontali. Il frontman Luca Mascini, in arte Militant A ha parlato della stima verso di loro, perché hanno il coraggio di dire ciò che pensano sulla guerra, “cosa che non avviene assolutamente in Italia. […] Diciamo che siamo molto più democratici, invece gli artisti hanno molta più paura di prendere parola, dovrebbero veramente andare a scuola di coraggio da questi ragazzi che invece stanno proprio in prima linea nella libertà”.