Interessa a qualcuno il destino della città di Roma, si chiede provocatoriamente Christian Raimo? (il manifesto del 17 luglio). Per aggiungere subito dopo che se anche cambiasse totalmente l’indirizzo politico nel governo della città, resterebbe qualcosa di immutabile poiché è una città in cui l’amministrazione è sequestrata da interessi che sovrastano la politica.

Basterebbe questo giudizio per abbandonare qualsiasi speranza che un nuovo sindaco e una nuova amministrazione possa cambiare le sorti del suo destino irreversibilmente votato al declino e al ristagno.

Dunque non è dalle forze politiche tradizionali di centro sinistra che può nascere il cambiamento, meno che mai da quelle di destra. Ancora una volta andremo alle elezioni votando il meno peggio, oppure astenendoci?

Un’alternativa ci sarebbe, seppure molto improbabile allo stato attuale. Che la galassia sparsa di movimenti, centri sociali, volontariato e chiunque condivida questa analisi, decidesse, al di là delle piccole patrie e delle gelose rispettive identità, di formare un fronte comune vasto con un unico programma e progetto che faccia di essa un movimento compatto volto ad un unico obiettivo: invertire il processo in corso, liberare gli spazi sequestrati, far tornare la popolazione, giustamente disincantata, ad interessarsi della cosa pubblica, a far valere le proprie ragioni che non coincidono nemmeno un po’ con quelle dell’amministrazione, quale che sia.

La si chiami lista civica o come altro si vuole: l’obiettivo è anche quello di raccogliere dentro gli schieramenti tradizionali le forze più progressiste e la parte della popolazione più attiva.

Perché questo è il vero problema di Roma, la totale impotenza della pur vasta area di sinistra resistente a darsi una rappresentanza politicamente efficace in grado di contrastare o almeno condizionare lo schieramento dei partiti tradizionali.

Ogni giorno ciascuno di noi riceve attraverso vari canali comunicazioni di manifestazioni, convegni, dibattiti che esprimono la resistenza contro questo stato di cose. Ogni movimento o associazione rivendica quello che ha fatto, i modesti risultati raggiunti e si compiace del proprio impegno svolto. Ma non capita mai in questi dibattiti che qualcuno lavori per raggiungere l’obiettivo di unire le forze rinunciando magari alla propria identità o al proprio piccolo «potere» acquisito.

Le forze politiche di sinistra conoscono bene questa debolezza e la sfruttano rendendo ancora più forti le divisioni di questo potenziale fronte. Magari offrendo qualche ruolo nella prossima amministrazione.

Fin qui si tratta di un vecchio film già visto tante volte ma che ancora funziona, che paradossalmente, nonostante gli insuccessi riesce ancora a persuadere chi è disponibile ad accogliere questa lusinga. Dove non riesce invece a far presa è nell’immensa periferia romana pronta piuttosto a votare le forze di opposizione, quali che siano.

Ma che altro dovrebbe fare questo popolo delle periferie sistematicamente ingannato dalle destre e dalle sinistre, usato solo come massa di voti per battere l’avversario? Che altro dovrebbe fare se non cercare di sopravvivere nel proprio inferno aggravato da una pandemia e da una conseguente crisi economica che lo vedrà nel prossimo futuro ancora più impoverito e disperato?

Salvini ha un buon gioco nel proporre l’inganno: mettere al centro le periferie, dare loro l’illusione che possano riscattarsi e, comunque, ridare loro la (falsa) speranza di una dignità perduta per sempre. E’ un inganno miserabile ma che cade in una situazione di disperato bisogno senza nessuna altra alternativa. Inutile cercare di svelare l’inganno, nessun disperato rinuncia a sognare quando la realtà nega ogni speranza.

La sinistra, quella dei partiti, lo sa ma ammesso (e non concesso) che anche volesse farsi carico di questa ennesima sofferenza della popolazione romana, invertire la rotta fin qui seguita sarebbe operazione rischiosa e forse impossibile.