Ci sono storie che hanno un sapore particolare. Un gusto un po’ retrò, l’avventura si mescola all’esotismo, il cinismo all’idealismo. Vi appaiono in genere donne bellissime e misteriose, a volte personaggi realmente esistiti, gli avvenimenti raccontati si inseriscono sullo sfondo di vicende storiche reali, il tutto con un sottofondo di musica jazz o di romanze d’opera.

Storie che richiamano alla memoria vecchi film in bianco e nero, alcune canzoni di Paolo Conte. E altre narrazioni come i romanzi di Eric Ambler o i fumetti di Hugo Pratt, di Attilio Micheluzzi, di Vittorio Giardino; non ci si stupirebbe di incontrare Max Fridman, Petra Chérie, Corto Maltese o altri gentiluomini di fortuna. A questo tipo di orditi sembra appartenere a pieno titolo l’ultimo romanzo di Gianfranco Manfredi, Splendore a Shanghai (Skira, pp. 445, euro 25).
Manfredi è un personaggio poliedrico, oltre che scrittore è musicista e cantautore, sceneggiatore per il cinema e la televisione, autore di fumetti, ha scritto, tra l’altro, storie di Tex e di Dylan Dog oltre a essere stato il creatore di Magico Vento.

PUR MUOVENDOSI all’interno di ambiti così diversi non soltanto è stato in grado di raggiungere risultati eccellenti ma, soprattutto è sempre riuscito ad esprimere una propria cifra personale, un proprio sguardo, insomma un proprio stile. Qualcosa che non si limita alla capacità di creare nuovi mondi, di raccontare nuove storie, ma che riesce ad esprimere il cambiamento, il continuo mutare degli individui, delle situazioni, della storia e della società. E che parlando del vecchio West o degli anni Venti del Novecento parla della nostra realtà, del nostro mondo attuale, senza per questo allontonarsi dalla purezza dell’avventura, quella che tiene il lettore avvinto alla pagina a chiedersi in ogni momento: «Cosa succederà adesso?». Cifra, stile, sguardo che si ritrovano assolutamente intatti in questo ultimo romanzo che racconta la storia di Doremì, pianista all’epoca del muto in un cinema di Senigallia, folgorato dalla visione dell’attrice cino-americana Anna May Wong ne Il ladro di Bagdad; a seguito dell’incontro con il vulcanico, mefistotelico e ricchissimo conte Paolini, Doremì si ritrova ingaggiato per andare a suonare in Cina, per l’appunto a Shanghai come già anticipa il titolo del romanzo. La vicenda si svolge tra il 1925 e il 1936, in gran parte nella metropoli cinese, mentre incombe la guerra civile e il conflitto cino-giapponese.

IL GIOVANE vivrà peripezie ed esperienze che lo segneranno, farà incontri indimenticabili – come quello con il commediografo Noël Coward, suo mito da sempre, o con la sua amata Anna May Wong – e cambierà profondamente, così come muta radicalmente la stessa Shanghai e tutta la situazione storico-politica intorno a lui.
L’unica cosa che sembra non cambiare mai, come più di una volta sottolinea l’autore, è la borghesia, quella è «identica in tutto il mondo. Si appaga d’apparenza, come la nobiltà dell’ancien régime». O ancora «si riproduce in serie, veste gli stessi abiti, coltiva gli stessi vezzi».

Intorno al protagonista, spesso rubandogli la scena, si muovono tutta una serie di personaggi indimenticabili come il già citato conte Paolini o il suo segretario Ernesto, e poi rivoluzionari comunisti, musicisti e cantanti di jazz e di opera, istruttori di ballo, guardie del corpo, spie cinesi e giapponesi, e ancora figure storiche come l’intellettuale e scrittore Lu Xun o Galeazzo Ciano e sua moglie Edda Mussolini.

TUTTO RESTITUITO con una scrittura davvero ciematografica, in grado cioè di «far vedere» al lettore i luoghi, le situazioni, gli accadimenti proprio come se ci si ritrovasse davanti allo schermo di un cinema. Non solo, il modo di scrivere di Gianfranco Manfredi, la maniera in cui cita, descrive, commenta i brani musicali – siano essi pezzi jazz o brani d’opera – comunica perfettamente l’illusione di ascoltarli realmente. Tali capacità, e non poteva essere diversamente, si estendono al trattamento riservato ai personaggi che riescono ad acquistare carne e sangue, come se anche loro fossero reali.

RICCO DI CITAZIONI, quasi tutte sono pronunciate da un unico personaggio, Ernesto, che ogni volta oltre alla frase citata aggiunge immancabilmente il suo autore. Così come, verso la fine della storia, l’autore sembra rivelare al lettore quella che forse – anche se alla lontana – è la fonte di ispirazione del romanzo, ovvero Shanghai Express, film del 1932, diretto da Josef von Sternberg e interpretato da Marlene Dietrich e, naturalmente, da Anna May Wong.