L’arresto di Kirill Serebrennikov – regista teatrale tra i più celebri in Russia – si è trasformato in uno spettacolare autogol per il regime di Putin.
Era dal 1939 che un uomo di teatro di tale fama non veniva arrestato. Serebrennikov era stato prelevato ieri dalla polizia a San Pietroburgo e trasferito a Mosca con l’accusa di essersi intascato 68 milioni di rubli (circa un milione di euro) di fondi per mettere in scena il suo progetto teatrale Plat-forme – così recita l’accusa – e molti pensavano che la vicenda avrebbe seguito il solito stanco canovaccio.
Una campagna stampa ben orchestrata per infangare il regista e i suoi collaboratori in odore di «propaganda omosessuale», un po’ di prigione per fiaccarne la resistenza e l’orgoglio e un altro fastidioso drop-out sarebbe stato tolto di mezzo.

Un po’ di oblio e un po’ di persecuzione sono cocktail che ormai in certi uffici di Mosca sanno dosare con accortezza. Ma non è andata così questa volta. Anche nel Paese in cui «non si muove foglia che Putin non voglia» a volte un granello di sabbia può inceppare l’ingranaggio. Questo granello di sabbia è stato, finalmente, l’opinione pubblica russa, da tempo dormiente.
E così alle prime proteste degli attori, dei colleghi, degli intellettuali, dei letterati si sono aggiunte in poche ore decine di migliaia di persone. Raccolte di firme su internet, gruppi sui social-network, presidi nelle grandi città.

Ieri a Mosca – in una tarda mattinata feriale da 34 gradi e più – centinaia e centinaia di persone si sono spontaneamente raccolte fuori dal tribunale che doveva decidere per gli arresti domiciliari. Gente comune, attivisti delle opposizioni politiche, attivisti dei diritti umani, semplici ammiratori di Kirill Serebrennikov.
Alla fine, il tribunale seppur di malavoglia ha dovuto concedere gli arresti domiciliari mentre i commentatori dei TG si facevano improvvisamente più critici, dubbiosi. Quindi la ciliegina sulla torta: un lungo corteo tranquillo non autorizzato ha percorso le vie della capitale mentre la polizia seguiva dappresso. La Russia democratica c’è e ha rialzato la testa. Putin è avvertito.