Oltre 2mila fermi, 275 arresti, decine di persone ferite e ricoverate in ospedale. Era dalla metà di agosto che la scure della violenza dei reparti antisommossa non era stata così dura contro gli 80mila manifestanti dell’opposizione a Minsk scesi in piazza domenica scorsa per protestare malgrado la pioggia battente.

Le avvisaglie di quello che sarebbe stato un pomeriggio di fango e sangue si erano viste subito quando migliaia di persone hanno cercato di concentrarsi non lontano da Piazza indipendenza.

Qui è scattata subito la provocazione della polizia bielorussa che ha sparato contro i dimostranti con i cannoni ad acqua e lanciato petardi stordenti all’impazzata. I giovani hanno resistito, fatto cordoni e a mani nude si sono scontrati con la polizia. Incidenti sono proseguiti fino a notte inoltrata in varie zone della città mentre gli omon, i famigerati reparti speciali, hanno usato in più casi le pistole elettriche per colpire la gente.

Qualche ora prima, nella sera di sabato, su pressione russa, Alexander Lukashenko aveva deciso di recarsi nel carcere dove è ormai in isolamento da luglio uno dei candidati non ammessi alla corsa presidenziale del 9 agosto, Victor Babariko.

Il presidente bielorusso intendeva capire se l’ex banchiere ben visto dal Cremlino fosse disponibile a cogestire una transizione che plachi, almeno in parte, le proteste che proseguono senza sosta da due mesi. La fumata è stata nera.

Babariko ha chiesto anche la liberazione degli altri candidati in galera e di tutti i detenuti politici. Una proposta al momento irricevibile per Lukashenko (aprirebbe inevitabilmente la strada a nuove elezioni), che aspira a tutto meno che a uscire di scena.

Ma, formalmente, una breccia è stata aperta perché di fatto il lider maximo bielorusso ha dovuto sdoganare parte dell’opposizione riconoscendo de facto che le accuse per le quali Babariko è in prigione sono evidentemente false. Babariko del resto ha assunto l’unica posizione possibile che non lo ponga immediatamente ai margini del movimento di protesta.

Come ha riconosciuto Svetlana Tichanovskaya, che ha potuto per la prima volta da giugno parlare con il marito dietro le sbarre al telefono, «ora non c’è nessun leader che controlli ciò che accade», mettendo così bene in luce il carattere intimo e inedito del movimento democratico bielorusso: la sua autonomia e orizzontalità.