Si può dire che Milano Musica è un festival per tutto l‘anno. Un blocco di concerti in maggio e un altro blocco in autunno fino al 26 novembre. Ma si vagheggia di una continuità ideale del flusso sonoro. Il titolo, D’un comune sentire, è assai suggestivo. Trattandosi di musica contemporanea spesso di punta, il «comune» non è certo il consumo acquisito bensì la prospettiva di una condivisione della esplorazione di nuovi territori illimitati. Insomma, il «divenire sperimentali» di Deleuze. Ci sta a suo agio in questa prospettiva un compositore come Giorgio Netti. Tipo un po’ solitario, gran pensatore e analista delle sue stesse opere, autore che può sembrare estremo ed è semplicemente aperto a quello che gli offre la materia sonora. L’mdi ensemble presenta di Netti il Ciclo dell’assedio per la prima volta in versione integrale. Sono quattro movimenti, ciascuno con un titolo, scritti in periodi diversi. Nel primo, place (2001-02), per quartetto d’archi, riconosciamo il «vero» Netti. I suoni partono dal rumore e modulano verso il rumore attraverso una successione sensazionale, sconvolgente, di glissandi, sfrigolii, suoni tenuti vitrei, esili, totalmente autonomi.

È UN PEZZO agitato, place, l’esploratore Netti non cela ansia e stupefazione. A fasi di rarefazione estrema seguono fasi di «tutti» assai densi e persino tempestosi. Ma Netti è un progettista. Stridori e glissandi feroci o astrali sono con tutta evidenza calcolati e dosati: nessun autore è meno iconoclasta ma nessuno è più audace. La sua musica o si introietta come un messaggio inaudito o non è. Il piano di scrittura in questo caso è la scomposizione del classico organico del quartetto d’archi. Il secondo movimento, rinascere sirena (2003-04), è per trio (due violini un violoncello), il terzo, inoltre (2005-06), è per due violini, il quarto, tête (2008-09), è per violoncello solo. E il piano si rivela diabolico, quantomai inatteso. Un avvicinamento graduale alla tradizione, con la ricomparsa di frasi (al posto di suoni del tutto sospesi e isolati collocati in una relazione tutta da sperimentare) e di uno svolgimento in certo senso consequenziale.

IL CONCERTO del violoncellista superstar Michele Marco Rossi è straordinario. Solista eccelso per tecnica e passione. Incastona tra le Quatre Récitations pour violoncelle (1980) di Georges Aperghis, come sempre sceniche senza scena, a volte geniali melodie a balzi di intervalli come nella n. 3, opere brevi di Jonathan Harvey, Filippo Perocco, Enno Poppe e Vittorio Montalti. Perocco con Esili canti d’attesa (2019) è il re della serata: cantore del serio disincanto, delizioso in certe iterazioni di arpeggi interrotte da secche note singole o da leggere sciabolate di suoni. L’Harvey di Curve with Plateaux (1982) è moderatamente materico e altissimamente lirico. Il Poppe di Herz (2002) offre un saggio magnifico di schizofrenia sapiente. Il Montalti di Senza fili (2021) gioca intorno alle tecniche dello strumento visto un po’ come un animale domestico.