«L’archivio è sempre stato una promessa, e come ogni promessa, un simbolo d’avvenire». Sono le parole profetiche di Jacques Derrida nel suo Mal d’archivio che fanno un po’ da leitmotiv per la mostra di Mario Cresci «Le due culture – Artefatti e Archivi» ospitata negli spazi della Cava Paradiso di Matera.
La mostra, che fa parte del progetto «I-Dea» coordinato da Joseph Grima dentro il contenitore delle manifestazioni di «Matera capitale europea della cultura 2019», è in corso fino al 7 giugno. Alla sua conclusione non verrà smantellata, bensì arricchita da altre quattro mostre riguardanti un progetto di intervento continuo di «stravolgimento» su quelle che un tempo si chiamavano le «due culture»: scientifica e umanistica. Nello specifico I-Dea vuole mettere le mani sugli archivi per reinterpretarli e reinventarli in una sorta di salvataggio dalla museificazione in cui sono spesso relegati soprattutto in Italia.

RACCONTA Mario Cresci, fotografo che ha lasciato il segno in più di un territorio a partire proprio da quello di Matera e dintorni dove ha vissuto, in tempi ormai lontani, per 20 anni: «questi nostri interventi hanno l’ambizione di arricchire e, si spera, lanciare in grande stile la città dei Sassi come punto di riferimento di tutto il Sud, di una grande scuola di produzione e formazione (giovanile soprattutto, ma non solo) sui materiali d’archivio più vari, sull’intreccio tra la cultura manuale e la scienza. Matera potrebbe rilanciare il suo futuro con l’arte, un tronco da cui fuoriescono i rami di tanti mestieri para artistici». La mostra si dipana negli spazi con sei grandi pannelli che richiamano altrettante grandi storie provenienti dagli archivi lucani e limitrofi. Pannelli ricchissimi di materiali archivistici «interpretati» da Cresci che rielabora anche il vecchio e bel libro di Sennett sull’uomo artigiano.

IN PARTICOLARE, evocativa e persino struggente, è la parte dedicata a Leonardo Sinisgalli, trenta metri di storia di questo impegnato uomo di lettere e scienza lucano che non ha mai dimenticato le proprie origini, dove campeggia la chicca del vecchio e introvabile libro del poeta-ingegnere Paese lucano, corredato dalle tavole di Mimmo Castellano.
Sia chiaro, la mostra di Cresci non è facile (grande importanza acquista il catalogo che sarà pronto a fine tragitto); è essa stessa, nel suo svolgersi, un «lavoro». Per la sua carica minuziosa di studio che ne fa, in senso del tutto positivo stavolta, una mostra «pedagogica» ma non pedante, anzi foriera di stimoli per il futuro non solo del sapere intrecciato al fare ma, forse (ricordiamo che una sua bella mostra di qualche anno fa si intitolava significativamente Forse fotografia), della modifica di un nuovo approccio all’invenzione dell’arte.