Da Castrovillari a Matera il gruppo prosegue il suo viaggio sulle strade di Carlo Levi. Ad Aliano, luogo del confino dello scrittore, si passa soltanto vicino, ma a leggere del piccolo borgo tra i calanchi quanto ne scrisse il figlio suo adottivo pare di immergercisi dentro, di vedere la sua vita che scorre davanti ai nostri occhi. Ignorando il mare e le rovine greche della costa metapontina, la tappa attraversa la Lucania contadina, l’interno tutto bosco, erba secca e rocce bianche, Craco abbandonata.

Prima di diventare lo spettacolo di luci notturne che oggi conosciamo, con gli squilibri che la monocoltura turistica comporta, Matera era additata specie sulla stampa di sinistra a vergogna nazionale. Ancora a Levi dobbiamo la descrizione più vivida di cosa significava viverci, nei sassi: “Le strade sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelli di sotto… Le porte erano aperte per il caldo, Io guardavo passando: e vedevo l’interno delle grotte che non prendono altra luce ed aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall’alto, attraverso botole e scalette”. E, di fronte, diviso dalla città per via della terra scannata dal torrente, il promontorio brullo e piatto che Pasolini elesse a Golgota.

Matera fu anche una galera per Rocco Scotellaro, sindaco poeta e contadino. Eletto giovanissimo a Tricarico sull’onda popolare della Liberazione e della ribellione dei cafoni, fu vittima di un intrigo dei notabili locali, accusato di malversazione e spedito in carcere nel capoluogo. L’aula 7 gli è ora intitolata, a ricordare quei 45 giorni di ingiustizia e di vendetta di classe dall’alto.

La corsa procede secondo il copione prestabilito, fuga di giornata riassorbita in vista delle rampe che portano al traguardo cittadino e forcing degli uomini di Sagan per scremare il gruppo ed evitargli i rischi di un testa a testa coi velocisti puri. Com’è o come non è, questo gioco è da più di un anno che non riesce al campione slovacco. Fanno quattrocento e rotti giorni che non vince, un’era geologica per uno abituato a primeggiare sempre dappertutto – tre mondiali a fila, roba che nemmeno Merckx, tappe a ripetizione al Tour, classiche del Nord cui ha rinunciato quest’anno per la parola data agli organizzatori della corsa rosa.

E anche a questo giro di mezzo c’è Demare, troppo in forma per la compagnia delle ruote veloci calata in Italia. Il piccardo sbanda sulla bici dalla potenza che imprime sui pedali, e trionfa a braccia alzate con una bicicletta di distacco.