Il governo di destra di Janez Janša è rimasto in piedi: la mozione di sfiducia costruttiva presentata dalle opposizioni non ha trovato i voti sufficienti in Parlamento.

Il leader del partito dei pensionati (Desus) Karl Erjavec, dopo avere annunciato l’uscita del suo partito dalla maggioranza, si era autocandidato a premier sollecitando le opposizioni a sottoscrivere la sua mozione. Mesi di discussioni e mal di pancia, soprattutto perché Erjavec non sembrava il candidato più affidabile, finché tutti gruppi di opposizione si erano uniti accusando Janša di violazione dei principi fondamentali dell’ordine costituzionale come la separazione dei poteri, il rispetto delle istituzioni indipendenti e la libertà dei media ma anche di avere messo in pericolo la reputazione della Slovenia nell’Unione europea e nella comunità internazionale. Messe all’indice anche le incertezze e le contraddizioni nelle iniziative del governo contro la pandemia.

SI VEDRÀ L’ANNO PROSSIMO, con le elezioni, quanto questo governo così a destra sia davvero gradito agli sloveni. Sondaggi recenti hanno descritto un quadro paradossale: l’80% dei cittadini si è espresso contro Janša e, un poco a sorpresa, ha indicato in Luka Mesec, poco più che trentenne leader di Levica (Sinistra) il candidato preferito per il ruolo di primo ministro.
Sta diventando evidente, forse, che le privatizzazioni, l’attacco alla libertà di espressione, lo sdoganamento – l’utilizzo anzi – di frange neonaziste, non porti nulla alle classi popolari se non la deprivazione dei diritti e delle tutele. C’entra probabilmente anche l’arroganza del premier e dei suoi ministri, tipo quel Aleš Hojs che, da ministro degli interni, ha condizionato pesantemente le forze di polizia o, nel mentre firmava l’ordinanza che vietava gli spostamenti tra Comuni, accompagnava la madre in vacanza in Croazia.

È andata bene a Janša, per ora; le sue pesanti iniziative contro l’opposizione rischiano di continuare indisturbate.

LA SLOVENIA È L’UNICO PAESE al mondo, probabilmente, che ha una giornata di festa dedicata alla Cultura – l’8 febbraio, data di nascita del poeta France Prešeren -, il Comune di Lubiana dedica il 10% del budget a iniziative culturali, e non sono pochi gli spazi di attrazione dove si riuniscono artisti, musicisti, giovani che vogliono ragionare sul mondo e trovare nuove strade di convivenza. Perfino sulle guide turistiche si raccomanda, per esempio, una visita al Centro di cultura alternativa Metelkova: centri sociali, teatri, officine artistiche, gruppi editoriali, cinema, associazioni gay, gruppi musicali, l’Istituto per la pace.

METELKOVA, FAMOSO anche per l’ostello della gioventù e per una piccola scuola ricavata da un progetto internazionale condiviso tra la facoltà di architettura dell’Università di Lubiana e il gruppo nordeuropeo di «artigiani erranti» (Axt und Kelle) o per il graffito di Blu sulle vecchie mura di quelle che erano state caserme per diversi eserciti, da quello austroungarico all’esercito popolare jugoslavo.

Laibah/Lubiana/Ljubljana, l’antica Aemona romana, con una storia cosmopolita e antifascista è da sempre luogo di incontro e creatività, di musei, mostre, concerti.

Ma, per Janša, Metelkova e gli altri centri “fratelli” sono «covi di anarchici». È più probabile che il pericolo che rappresentano sia quello di ostacolare la gentrificazione del centro cittadino e, poi, è proprio in quei luoghi che si svolgono le assemblee del movimento che, da un anno, ogni venerdì si presenta davanti al Parlamento per chiedere le dimissioni del governo.
Il 19 gennaio è stato assaltato dalla polizia il centro Fabbrica Autonoma Rog, evacuato con la forza e semidistrutto.

ADESSO TOCCA AL METELKOVA. La scorsa settimana una squadra di fascisti è riuscita, di notte, ad attaccare un enorme striscione che chiedeva la distruzione del centro e martedì scorso più di quaranta agenti in tenuta antisommossa hanno occupato il grande piazzale mentre i poliziotti entravano negli edifici per un «normale controllo dei locali di ristorazione». Risposta muscolare, in realtà, alla manifestazione che, nel pomeriggio, aveva visto sfilare per le vie della città un lungo silenzioso funerale «per la distruzione di Rog e la morte della cultura».